Maserati Biturbo, compie 40 anni la Maserati tutta “genio e sregolatezza”
ICONA DAL DOPPIO VOLTO. La Maserati Biturbo compie quarant’anni. In realtà la si vide la prima volta il 14 dicembre 1981, ma la sua vita vera e propria cominciò l’anno successivo. Ed è stata una vita lunga e “tormentata”, fatta di alti e bassi, ma che merita senz’altro di essere riportata sotto i riflettori. Ma non si tratta solo di far leva sull’effetto nostalgia, un sentimento che la sportiva del Tridente più brutale e controversa degli anni ’80, al netto dei suoi pregi e dei suoi difetti, è in grado di accendere come forse nessun’altra rivale diretta del suo tempo. Fare luce sulla Maserati Biturbo ha un significato più ampio e profondo. Significa parlare di un’auto dal fascino indiscusso, in gioventù tacciata di certe fragilità e problemi congeniti (che pure esistevano e, nonostante il tempo sia decisamente galantuomo con le auto d’epoca, rimangono tuttora innegabili) e oggi, a distanza di tanti anni, assurta a furor di popolo al ruolo di icona indiscussa. Anche se non è riuscita a compiere la missione di cui era stata investita, nonostante il prezzo concorrenziale (nel 1982 costava 22.000 milioni di lire e con quella cifra una Porsche 911 ce la si poteva solo sognare) e le prestazioni esuberanti del suo 2000 V6 sovralimentato con due turbocompressori.
PIÙ CHE UNA SEMPLICE BELLA AUTO. Rileggere la storia della Maserati Biturbo è un esercizio che va oltre la comprensione dei numeri della sua scheda tecnica (con 180 CV filava fino a 215 km/h, con una spinta rabbiosa e un sound così potente da far tremare i polsi). Vuol anche dire far scivolare fuori dalle tante zone d’ombra in cui è rimasta intrappolata troppo a lungo una vicenda industriale che è parte della nostra storia, della nostra industria, della nostra società e della nostra cultura (non solo automobilistica). In questa compatta coupé a due porte, disegnata da Pierangelo Andreani e capostipite di una stirpe che si è evoluta anche con carrozzerie spider e quattro porte, ci sono tutta la magia e tutte le incredibili contraddizioni del sogno di riscatto della Maserati di Alejandro De Tomaso, il vulcanico imprenditore argentino che, insieme alla finanziaria pubblica Gepi, nell’estate del 1975 aveva salvato il “Tridente” dopo la fallimentare gestione della Citroën.
NON ERA PER TUTTI. Le premesse erano ottime, perché la Biturbo sarebbe costata poco rispetto agli standard della Maserati e sarebbe stata inoltre tremendamente veloce e passionale. Forse anche troppo per quegli automobilisti che, attirati da un prezzo insolitamente basso per il genere di auto ma poco inclini a interpretare i “bollenti spiriti” della nuova nata, faticarono a comprendere del tutto le sfumature del suo carattere, acerbo perché forgiato troppo in fretta e per giunta imprevedibile ed esuberante. Proprio come quello di De Tomaso, che l’aveva di fatto immaginata e voluta a sua immagine e somiglianza. Non è una leggenda che alcune Biturbo prendessero fuoco apparentemente dal nulla. Ma in realtà un motivo c’era e non è un caso che il patatrac capitasse soprattuto negli Stati Uniti, perché l’utente medio, che fino al giorno prima guidava ben più noiose Ford e Chevrolet, non era abituato a usare lo starter manuale e lo lasciava inserito più del dovuto, provocando pericolosi surriscaldamenti. Un problema che fu risolto con l’adozione dell’iniezione elettronica, che cancellò anche le difficoltà di avviamento a caldo dei primi motori a carburatori.
INTERNI CRITICI. C’era molto meno da fare, invece, sul fronte della qualità costruttiva. Soprattutto all’interno, dove alcuni materiali erano pregiati, come il tessuto dei comodissimi sedili, griffato Missoni, ma molti, come il rivestimento del cruscotto, che si screpolava solo a guardarlo, decisamente meno. All’epoca erano difetti non da ridere, per chi da una Maserati s’attendeva giustamente il meglio del meglio, mentre oggi sono peculiarità di una macchina che sembra essersi finalmente scrollata di dosso l’etichetta di bella e dannata. E che può ambire a un brillante futuro come auto da collezione, visti i prezzi ancora contenuti (5-10.000 euro), specialmente per gli esemplari della prima ora, che sono forse i più affascinanti ma sono anche quelli più problematici a livello di gestione. Il consiglio, quindi, per chi ha sempre sognato di mettersi al volante di una Biturbo, è ovviamente di cercarne una in ordine ma, soprattutto, di affidarsi a un meccanico bravo ed esperto. Meglio se con i capelli bianchi e l’orecchio fino. Perché con certe auto bisogna prendersi tutto il tempo che serve per ascoltarle e capirne equilibri e umori. Solo così se ne apprezzerà in pari misura il genio e la sregolatezza.