La collezione Morbidelli è salva: grazie all’ASI
Sai quella cosa che il valore lo fa il mercato? È più vera di quello che pensi. Già perché interessa anche qualcosa che teoricamente, in vendita, non dovrebbe manco finirci. Perché non ha prezzo. La cultura. Fermo. Non sto parlando di libri impolverati o di santi e madonne tirati giù dai muri delle chiese. Sto parlando di moto. Di antenate di quella cosa che hai in garage e che se è così divertente e performante lo devi a loro. A quei pezzi di ferro che buttavano i cavalli, pochissimi, oltre l’ostacolo. Bestie da granpremio che lottavano prima di tutto contro le proprie gomme o i freni. O l’affidabilità, quella sconosciuta. Succede che a febbraio scompare Giancarlo Morbidelli, il pesarese volante, progettista di iridate mondiali e papà della 850 8V, vent’anni fa aveva aperto al pubblico la sua collezione privata. Dentro, tutto il meglio delle moto da corsa. Fin qui, tutto bene. L’idea di Morbidelli era quella di raccontare, nella sua città, storia e evoluzione delle competizioni a due ruote. Risultato? Una raccolta unica. Un’impresa titanica, al limite della specialità olimpica. Scovarle, comprarle, restaurarle o semplicemente esporle. Ti immagini?
TRAMANDANDO SI IMPARA. Vuoi sapere che valore ha? Nell’Italia di oggi, nessuno. Già perché se non c’era lo Stato, con il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (lungimirante intuizione di Spadolini, siamo in pieni Anni ’70) che bloccava l’esportazione dei pezzi con più di 75 anni, permettendo all’ASI di acquistare 71 moto, le ‘Morbidelli’ erano le prime due ruote della storia a prendere il volo: destinazione prossima asta di Bonhams, in Inghilterra. Perfida Albione? Macché, poveri mandolinari noi che come sempre importiamo specchietti per le allodole dimenticandoci, chennesò, che a Murano il vetro si soffia ancora a bocca, o che l’Emilia della Motor Valley, anche se si chiama all’inglese perché fa più figo (davvero?), beve Lambrusco e fabbrica miti. La verità è che questa notizia del decollo mancato, non è una notizia. È una pausa di riflessione. Hai figli? Bene, così capisci dove voglio andare a parare. L’eredità culturale è quella cosa che ha reso questo stivaletto un Paese capace di mollare pedate a destra e a manca. Perché il campanilismo che ti hanno venduto come una cosa brutta e cattiva era semplicemente la voglia di primeggiare sul vicino che crede di avere l’erba sempre più verde. Di dire, guarda qua, che son migliore di te. Coppi-Bartali, Gilera-MV Agusta…
PROVINCIALI SI NASCE. PER FORTUNA. La competizione, la sfida, all’italiano piace. Perché un Paese come questo, incapace di pianificazione vive di gesti eroici, colpi di reni o di genio. È così che nascono esempi da imitare o da mandare a quel paese. I più grandi italiani della modernità sono quelli che hanno saputo sublimare la provincialità, le loro radici. Fellini vinceva Oscar a suon di Romagna e Sordi conquistava le donne di tutto il mondo in romanesco. Allora facciamo una cosa, diciamo che è stata una svista, vabbé c’era il Covid e la scomparsa di Morbidelli è passata inosservata. E la liquidazione del suo patrimonio di memorie e cimeli a due ruote pure. Diciamo così, perché se no bisognerebbe pensare che tutta la passione che gli ha fatto mettere insieme le moto più veloci del pianeta (compresa la Benelli GP 175, una quattro cilindri del 1934) se n’era andata con lui. Perché non interessava più a nessuno.
Articolo ambiguo ed impreciso. Da una parte si loda l’ASI e il MBCA per il salvataggio del Museo Morbidelli senza chiarire che in realtà due terzi del medesimo è scomparso… Poi si dice che l’ASI è stata distratta (intervenendo evidentemente tardi) perché la questione vendita non nasce dalla morte di Morbidelli, ma da molto prima. Sono almeno quattro anni che la famiglia ha manifestato questo desiderio, da quando Giancarlo non aveva più capacità di intendere e di volere per una grave malattia, altrimenti lui non avrebbe mai venduto la sua “creatura”! Quattro anni di tira e molla fra Istituzioni e famiglia Morbidelli senza che nessuno intervenisse concretamente a cominciare dall’ASI che non era distratta dal covid (visto che ancora non c’era), ma evidentemente da altre questioni… Certo si sono salvate circa 70 moto, meglio che niente, su questo non ci piove, ma il rammarico è che si sarebbe potuto salvare tutto il “pacchetto” senza che si disperdessero moto legate al territorio come diverse MotoBi “sei tiranti” da competizione e svariate Benelli, una su tutte la Benelli 250 bialbero con cui Dario Ambrosini vinse il primo titolo mondiale nel 1950 per la casa del Leoncino! Adesso però stiamo a celebrare la vittoria di una battaglia dopo aver perso la guerra… Insomma un fallimento di grande successo… Poi sinceramente alcune citazioni lasciano il tempo che trovano “rivalità come Gilera-MV Agusta…” semmai, per fare onore a Morbidelli fra “Gilera e Benelli” sarebbe stato più consono visto che la passione per motorismo a due ruote è nato a Pesaro per merito dei fratelli Benelli che fondarono l’omonima casa nel 1911, mentre MV Agusta è del 1945… Tonino Benelli, il più giovane dei sei fratelli vinse quattro titoli italiani a cavallo degli anni 20/30 in sella a moto… Benelli. Senza nulla togliere alla Motor Valley e alla Romagna, il motociclismo pesarese ha prodotto tecnici, piloti e marchi storici tuttora in auge come TM e Benelli che i cinesi della QJ stanno rilanciando alla grande. La moto più venduta in Italia nel 2020 è una Benelli! Ma questo è volontariamente “snobbato” dal pregiudizio che sia di proprietà cinese, come se altre case molto più blasonate (e anche loro di capitale estero) non facciano produrre in Cina… Ecco Giancarlo Morbidelli, autodidatta, è figlio di questa passione che ha contagiato un intero territorio, come del resto lo scettro di Tonino Benelli è stato raccolto da un certo Valentino Rossi! Esatto! Questo si che è uno “scoop”! L’uomo in giallo è marchigiano, figlio del pesarese Graziano, nato ad Urbino e cresciuto a Tavullia!
P.S.: Si cita la Benelli 175 quattro cilindri del 1934, a noi non risulta che esista una quattro cilindri di quell’anno e di quella cilindrata, se Nicolò Minerbi si riferisce alla moto in copertina, trattasi di una 250 quattro cilindri del 1939 sovralimentata con compressore volumetrico. Moto che non vedrà mai la pista per lo scoppio della S.G.M. Nel dopoguerra la sovralimentazione sarà vietata tanto che Dario Ambrosini vincerà il mondiale del “50” con una 250 bialbero, monocilindrica, aspirata a cascata d’ingranaggi (Marchio di fabbrica Benelli) derivata e aggiornata da quelle da competizione anteguerra. Per saperne di più invito l’autore dell’articolo e i lettori a visitare il Museo Officine Benelli di Pesaro ricavato nei luoghi originali in cui nacque la Benelli.