Il thriller di Artioli in scena alla Fabbrica Blu
Romano Artioli, imprenditore, colui che nel 1987 diede il via alla rinascita della Bugatti e fece lo stesso nel 1993 con la Lotus. Un personaggio che raramente si lascia spaventare o sopraffare dalle emozioni, nemmeno quando deve varcare la soglia di quella fabbrica che si è visto portare via da un fallimento del quale probabilmente non sapremo mai fino in fondo le ragioni o i colpevoli ultimi. È lui ad accogliere i partecipanti al Bugatti & Lotus Meeting, che si è tenuto proprio nella fabbrica di Campogalliano che un tempo fu la sede della Bugatti italiana e il cui profilo, con gli stemmi sbiaditi e consumati dal tempo, si riesce a malapena ad associare alle fotografie di un giovane Michael Schumacher che tanti anni fa ritirava, proprio davanti a quel capannone blu con l’ovale rosso in bella vista, una fiammante EB 110 gialla. Un luogo abbandonato, che il nuovo padrone non riesce ad affittare e che tra i segni del tempo cela le vestigia motoristiche di una stagione breve ma assolutamente gloriosa.
VUOTA MA NON MUORE. La Fabbrica Blu di Campogalliano è un non luogo, uno di quegli spazi abbandonati che nonostante l’operosità di un custode appassionato e nostalgico è stata per anni solo la metà degli esploratori urbani, gli urbex, che s’intrufolavano – di nascosto prima e in tour guidati poi – per documentare i resti di un sogno industriale infranto. E fa un effetto particolare girare per i reparti dismessi, scoprire qualche vecchio computer buttato alla rinfusa, le gigantografie sbiadite della sala mensa, qualche documento manoscritto abbandonato per terra e persino la porta originale in legno del primo stabilimento Bugatti di Molsheim, il tutto pieno di storia ma senza futuro. Era una fabbrica iper-moderna la Bugatti di Campogalliano ma di quel sogno sono rimaste poche cose: una piccolissima parte della linea di assemblaggio, con i tubi dell’aria compressa dei macchinari ancora appesi, una macchina lavapezzi obsoleta e nient’altro.
EB110: A CASA PER UN GIORNO. E proprio su quella linea di assemblaggio immaginaria, dopo quasi 25 anni, si sono ritrovate alcune delle 139 Bugatti EB110 prodotte sotto l’egida di Romano Artioli. Una macchina ancora affascinante, tanto per la tecnica quanto per le linee pensate da Gandini ma intelligentemente rivisitate da Giampaolo Benedini (l’architetto che ideò pure la fabbrica), capace di staccare un record di velocità da oltre 330 km/h al Nardò con un motore alimentato a metano e di ispirare persino le Bugatti made in Volkswagen di oggi, come la Centodieci. Fuori dal capannone, sul prato verde antistante l’autostrada, si sono invece riunite le Lotus Elise, colorate e quasi tutte in assetto da track day: piccoli missili terra-aria dal rapporto peso-potenza godurioso, forse non ‘eternamente iconiche’ come la cugina Bugatti ma sicuramente molto apprezzate ancor oggi.
RIUNIONE DI FAMIGLIA. L’evento di Campogalliano è difficile da inquadrare. Non si è trattato di un raduno. Le rarissime Bugatti EB 110 e le più ‘possibili’ Lotus Elise erano solo lì a dar colore a una celebrazione diversa, quella delle persone dietro a questi sogni a quattro ruote. Difficile anche identificare i proprietari di una o dell’altra vettura, nessun campanilismo né ostentazione del marchio fine a se stessa. I partecipanti erano lì semplicemente a omaggiare la visione di Romano Artioli e con lui tutte le persone che, con gradi diversi, hanno contribuito alla storia di queste due perle automobilistiche: l’architetto/designer Giampaolo Benedini (nella foto in basso), Elisa Artioli (che da madrina/ispirazione per il nome della Elise è diventata negli anni la più grande ambassador del modello in giro per il mondo), il collaudatore – di allora ma anche di oggi – Loris Bicocchi e tanti altri che hanno un posto in questa storia di testardaggine mantovana, successi planetari e qualche bruciante battuta di arresto. Una storia di luci fortissime e di ombre difficili da mandar via, che nemmeno il bel libro di Artioli chiarirà mai completamente.