Alfa Romeo 164: il museo svela i segreti della ProCar

Alfa Romeo 164: il museo svela i segreti della ProCar

Nasce da un’idea. La silhouette è quella di un’Alfa Romeo 164, ma le portiere e i cofani sono “finti”. Finti nel senso che non si aprono e, per accedere al motore, bisogna rimuovere un enorme (ma leggerissimo) “guscio” in fibra di carbonio. Ed ecco, proprio al centro della vettura, la sorpresa: un V10 da tre litri e mezzo di cilindrata con oltre 600 CV. Non fu, come si potrebbe anche pensare, il più classico e sciagurato di quei “colpi di testa” che a volte contribuiscono a rendere appassionante la storia di una grande azienda, bensì un progetto in cui la casa milanese credette, con le migliori intenzioni, fino in fondo. Ovvero finché nella vulcanica testa di Bernie Ecclestone, grande boss della F1, sopravvisse l’idea di lanciare una competizione idealmente in rimpiazzo del Campionato mondiale sportprototipi e a corollario del Grande Circus.

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In anticipo sui tempi. Ancorché affascinante (prevedeva l’impiego di vetture esteticamente quasi identiche a modelli di serie prodotti in almeno 25.000 esemplari, ma con telai da F.1 e motori da 3,5 litri senza limiti di potenza), la serie Production Cars non andò mai in scena. Ciò che l’Alfa Romeo riuscì a fare con la 164 ProCar nella seconda metà degli anni ’80, tuttavia, rimane una specie di miracolo d’ingegneria, nonché l’ennesima dimostrazione di come davvero, per dirla con le parole di Enzo Ferrari, “all’Alfa sanno fare i guanti alle mosche”. Ritiratasi dal campionato di Formula 1 come costruttore alla fine della stagione 1985, l’Alfa Romeo continuò a fornire propulsori sia aspirati sia sovralimentati alla Osella e alla Ligier. Proprio per la scuderia francese nel 1985 i progettisti dell’Alfa Corse avevano cominciato a disegnare il motore V1035, un’unità in anticipo sul cambio di regolamento, che a partire dalla stagione 1988 avrebbe decretato la fine dei motori sovralimentati. Quel motore straordinariamente potente (al team guidato da Pino D’Agostino bastarono sei mesi, dal febbraio al luglio 1985, per passare dai 587 CV iniziali ai 620 della configurazione definitiva) fu una preziosa fonte d’ispirazione per gli altri motoristi della Formula 1, Honda e Renault in testa, che in quel dieci cilindri a V di 72° intuirono le caratteristiche del primo vero motore V10 di Formula 1 moderno.

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Parola al progettista… Così, nel corso di una conferenza d’approfondimento sull’Alfa 164 ProCar organizzata dal Museo Storico Alfa Romeo lo scorso 13 marzo (la vedi qui), l’ingegner D’Agostino, all’epoca direttore del reparto motori dell’Alfa Corse, ha ricordato il progetto del motore: “Eravamo indecisi se scegliere una configurazione a 8 o a 12 cilindri. Alla fine optammo per un V10, una soluzione di mezzo che offriva uno squilibrio residuo accettabile. Il basamento era un falso integrale, con le canne dei cilindri riportate per poter fare più sperimentazione e definire con maggior accuratezza lo scambio termico con il passaggio del liquido di raffreddamento. Per quello che riguarda la testa, ne studiammo due, una a quattro e l’altra a cinque valvole: con la seconda ottenemmo una curva di potenza molto più piena ai bassi regimi, ma agli alti perdevamo una quindicina di cavalli. Così optammo per le quattro valvole. L’angolo di 72° gradi tra le bancate? Fu scelto perché restituiva una distribuzione degli scoppi molto regolare. Importantissima fu la progettazione della biella con sezione a H rovesciata e bullone mordente in acciaio da 10: riuscimmo a ridurre il peso del 12% e di lì in avanti ci copiarono un po’ tutti. Una bella soddisfazione, anche perché, tra le case automobilistiche che avrebbero dovuto prendere parte al campionato ProCar, l’Alfa Romeo fu l’unica a costruire un vero motore e a farlo girare. La Honda e la Renault presentarono solo il manichino”.

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Pronta al decollo. Se la 164 Procar è riuscita a mettere le ruote su strada, il merito è anche di Giorgio Francia, storico pilota e collaudatore dell’Alfa Romeo: “A parte Riccardo Patrese, che nel 1988 l’ha guidata per qualche giro a Monza nel pre-gara del Gran Premio d’Italia, la 164 ProCar l’ho guidata solo io. Ricordo bene la prima volta che la misi in moto: i tecnici mi dissero di non superare i 250 km/h, perché non sapevano quello che sarebbe potuto accadere. In effetti mi accorsi subito che la macchina non aveva sufficiente carico aerodinamico e tendeva a sollevarsi. Il che però, paradossalmente, le consentiva di accelerare più rapidamente rispetto a una Formula 1”. Il telaio costruito dalla Brabham seguiva lo schema classico dei prototipi del Gruppo C: era composto da cellula centrale (con posto guida a destra) e dal motore, solidale con una struttura a nido d’ape in alluminio e Nomex. Un layout raffinatissimo che, tuttavia, a ogni curva si trovava a dover fare i conti con un motore a dir poco esuberante. “Ho impressi nella mente curvoni a 200 km/h che con con le Formula 1 percorrevo a 300: una cosa incredibile, a pensarci oggi”, ha ricordato Francia. Che ha concluso il racconto della sua esperienza al volante dell’Alfa Romeo 164 ProCar con un aneddoto: “Una volta, a Balocco, persi l’alettone posteriore. Era piccolissimo e contribuiva assai poco a schiacciare l’auto al suolo. Tant’è che quasi neanche mi accorsi della differenza e l’auto, per assurdo, mi sembrava addirittura più stabile. Fu un progetto davvero affascinante e credo spieghi molto bene la mentalità dell’Alfa Romeo, che, al di là del campionato, era quella di costruire macchine vincenti”.

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