Temerari Ricordi corsa dei ‘Cavalieri del Rischio’
(Dall’intervista a Niki Lauda)
Come avvenne il suo primo contatto con la Ferrari?
«Mi chiamarono a Fiorano per la prima sessione di prove sulla B3. Il Commendatore volle assistere personalmente insieme al figlio Piero, che parlava inglese».
Come andava la macchina?
«Male, era maledettamente sottosterzante, andava via di muso. Lo dissi al figlio di Ferrari. Il fatto è che quando io parlavo e il figlio traduceva, non gli diceva la verità perchè aveva una paura matta di farlo arrabbiare»
Accadde così anche quel giorno?
«Si. Quando mi diedero in mano la B3, durante la prova capii subito che su quell’auto bisognava lavorare sodo. Così, dopo qualche giro mi fermai sconsolato. La macchina era una trappola, come dite voi. Il sottosterzo la portava letteralmente fuori ad ogni curva, davvero inguidabile».
Ne parlò a Ferrari?
«Il Vecchio intuì la mia delusione e disse: “Che succede, cosa c’è che non va?”. Io guardai suo figlio e gli risposi che l’auto era una merda, letteralmente. Forse usai una parola forte. Lui rimase impietrito. E al padre che insisteva per conoscere la mia opinione non riferì quel verdetto negativo. Piero faceva il diplomatico. Girava la frittata, raccontava frasi di circostanza e offriva una versione addomesticata delle mie valutazioni, giusto per non far andare il vecchio padre fuori dai gangheri. Insomma la sua traduzione era una metafora del mio pensiero, Riveduta e corretta. Questo è stato per molti anni un grave errore di Ferrari: nutrirsi di giudizi filtrati. Non dico con malizia, magari anche solo per non farlo montare sulle furie. Solo che in quel modo lui non era a conoscenza della situazione reale. E i rapporti con i piloti erano viziati fin dall’origine».
E lei, che cosa disse a Piero?
«Gli dissi che avrebbe dovuto tradurre al padre esattamente quello che io avevo detto della macchina, perché così il rapporto sarebbe stato sincero e con questa consapevolezza avremmo potuto lavorare insieme per ripartire migliorare. Ma Piero mi guardava sempre più imbarazzato. A quel punto anche il Vecchio aveva capito che si era creato un corto circuito. E urlò al figlio di farsi dire cosa diceva quel pivello di pilota austriaco. Alla fine convinsi Piero. E finalmente gli riferì quanto gli e avevo detto».
La prese male?
«No tutt’altro. Ferrari restò impassibile. Infilò la mano destra nella tasca dei suoi enormi pantaloni grigi, si grattò in un posto impossibile. Poi, con tono pacato, mi disse che nessuna Ferrari era una merda, che tutte le Ferrari erano ottime macchine e che io avrei dovuto tenere sempre ben presente questa sua opinione».
Tutto qui?
«No, il siluro arrivò dopo. Mi guardò dritto negli occhi, si schiarì la voce e mi disse “Tu ora hai una settimana di tempo per lavorare con l’ingegnere Forghieri sulla B3. Ma ricorda bene che se entro una settimana non abbassi di almeno mezzo secondo il tempo sul giro a Fiorano, sei licenziato”. Capii benissimo il significato anche senza traduzione. Forse avevo esagerato. Ero dannatamente giovane. Ma resto dell’avviso che nel nostro lavoro la collaborazione è proficua solo a patto di una grande sincerità»
Riusci a migliorare la vettura?
«Iniziai a lavorare come un matto. E grazie all’aiuto di Mauro Forghieri, un vero genio, riuscii ad abbassare il tempo di otto decimi al giro. Ero salvo. E soprattutto avevo conquistato la fiducia di Enzo Ferrari»
Danilo Castellarin
Giorgio Nada Editore
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