Elogio del petrolio – Possiamo rinunciarci?
Meglio dichiararlo subito: questo è un libro difficile. Non perché sia scritto male o in maniera astrusa (quelli sono i libri inutili), ma perché denso di riflessioni e spunti, spesso provocatori o comunque non comodi per la coscienza comune che, quasi mai coincide con il buon senso e ama adagiarsi sulle soluzioni in bianco e nero, senza sfumature e tonalità intermedie. La domanda di fondo che già dalla quarta di copertina si pone Massimo Nicolazzi – manager di lungo corso nel settore petrolifero – in ‘Elogio del Petrolio‘ è dirimente e dirompente: è davvero possibile rinunciare a petrolio, gas e carbone? E ancora: chi ne pagherà il conto?
ECOLOGIA E DEMOCRAZIA. Badate, sono domande che non contengono già la risposta. Non sono retoriche e un mezzo comodo per introdurre risposte preconcette e precostituite, chiuse e senza appello. No, sono domande serie che possono accettare risposte diverse e tra loro contradittorie. La provocazione è già nel porsele con mente aperta. Anticipiamo subito la risposta generale che l’autore dà a quelle domande: forse è possibile rinunciare alle fonti di energia fossile, ma il problema è politico prima che tecnologico e investe l’essenza stessa del nostro ordinamento sociale. Ha cioè a che fare con la democrazia. Quindi la risposta è sì, è possibile rivolgersi a fonti rinnovabili, ma la questione va affrontata in maniera radicale e complessiva, conoscendo le conseguenze che può avere e dunque gestirle in un percorso consapevole e programmato.
UNA TRASFORMAZIONE EPOCALE. Il ragionamento è questo e procede in maniera incalzante. L’energia di origine fossile rappresenta le fondamenta sulle quali sono stati innalzati il sistema economico e l’ordinamento politico attuale, cioè quell’energia è una delle fonti, il cui ruolo è stato niente affatto trascurabile, del benessere raggiunto e della democrazia quale la conosciamo. Rinunciare a petrolio e gas è possibile, addirittura necessario perché destinati ad esaurirsi e comunque responsabili di impatti sull’ambiente tali che ormai su questa terra c’è spazio o per loro o per noi. Bene, ma capovolgere la piramide del nostro approvvigionamento energetico costa e può costare anche carissimo, sia in termini economici sia di relazioni politico-sociali. Chi paga il conto? E a quanto ammonta?
NECESSITÀ DA FAR COESISTERE. Questi sono i termini di una questione che non può essere ridotta a schermaglia ideologica, a cori da stadio e a slogan elettoralistici. Il petrolio fa male e le energie verdi sono la soluzione, ma dirlo non basta e non può bastare dire che green è bello, senza curarsi di cosa la trasformazione comporti. Occorre guidare la transizione, stando attenti a non scaricarne i costi su tutti, fasce deboli incluse, le quali non solo non ne accettano il peso economico, ma neanche ne comprendono la necessità. Il fenomeno dei gilet jaunes in Francia ne è stata una prova acuta ed esemplare: la tassa ecologica sul petrolio ha scatenato una rivolta tra i ceti meno abbienti sui quali di fatto si stavano scaricando i costi di una transizione voluta e guidata alle elite colte e consapevoli. Si è cioè riproposta l’eterna contrapposizione tra vandeani e parigini, tra periferie e centro, tema sempre più comune ed esteso a tutte le democrazie, una lama che può essere il loro patibolo. Altro esempio? Bella l’auto elettrica, è il futuro. Ma chi la finanzia? Le tasse per gli incentivi all’elettrificazione della mobilità sono spalmati su tutti e in maggior misura su chi meno ha urgenza e comprensione di questa transizione. Della serie, fai il figo con la bici elettrica e il monopattino con l’incentivo che ti hanno pagato anche la colf filippina che prende la circolare, il manovale albanese che si può permettere un Euro 4 se va bene, e il prof precario di Marsala che insegna a Palermo e fa commuting in auto perché “non ce n’è treni” e la bici la prende solo per fare sport la domenica.
POLITICA E CITTADINI. Insomma, il tema è politico più che di paradigmi tencologici. E Nicolazzi non nasconde il suo sconforto in proposito: se è politico, a guardare la politica mondiale non solo quella nostrana, siamo messi male. A meno che… a meno che non siano i cittadini stessi a farsi protagonisti attivi di una trasformazione equa e convincente per tutti. Salvando così ambiente e democrazia, ma a patto di crescere in consapevolezza e abbandonare pose intellettuali da un lato e ottuse ritrosie dall’altro. Vi avevamo avvertito che il libro è difficile: e la sua difficoltà è tutta qui.
Il tema è costantemente dibattuto ed è intellettualmente intrigante.
A livello nazionale abbiamo il pensiero di Nicola Armaroli contrapposto a quello di Enrico Mariutti per Econopoly de Il Sole 24 Ore.
Poi le dichiarazioni di Toyoda, il numero 1 di Toyota preoccupato per gli investimenti che richiede la tecnologia elettrica in continua evoluzione.
Inutile girare attorno al problema, le batterie allo stato solido a cui ambiscono Volkswagen e Toyota che consentiranno di superare le celle 4680 di Tesla grazie a tempi di ricarica più brevi, una maggiore autonomia di guida, oltre ad essere più sicure dell’attuale generazione di celle agli ioni di litio con elettrolita liquido scontano un notevole problema.
Le batterie allo stato solido sono attualmente in fase di sperimentazione e sviluppo con conseguenti incertezze e preoccupazioni legate agli alti costi di produzione e alla scalabilità.
Le sfide in fase di sviluppo sono rivolte alla deposizione degli elettroliti solidi in un processo compatibile con le fasi di produzione odierne, il tutto senza influire sulla durata o sul costo del prodotto finale aggiungendo vantaggi come una migliore densità di energia e potenza, maggiore sicurezza e una maggiore produttività.
Alcuni resoconti affermano che nella fase iniziale dello sviluppo, si stima che la tecnologia a stato solido abbia un costo elevato che varia tra gli 800 dollari per kWh e i 400 dollari per kWh entro il 2026.
Ciò significa che per una vettura con batteria di 75 kWh si spenderanno non meno di 30.000 euro.
Il costo alto ostacolerà in modo significativo la produzione e l’impiego di batterie allo stato solido.
Solo con una svolta sul mercato delle batterie allo stato solido l’elettrico crescerà ulteriormente.
Nonostante le promesse di prestazioni più lunghe e di maggior sicurezza, le possibilità di prendere il posto delle batterie agli ioni di litio convenzionali con elettrolita liquido dipenderanno in gran parte dalla domanda dell’industria dei veicoli elettrici al superamento dei costi iniziali.
Per quanto riguarda la fatidica domanda sull’energia elettrica che viene comunque prodotta, oggi siamo indietro sulle fonti rinnovabili (non fossili), circa il 40% di energia elettrica prodotta.
Vorrei ricordare cosa disse il nostro Nobel Carlo Rubbia sul solare termodinamico, funzionante anche durante la notte, dove, cito da Wikipedia: “Nel 2008, il fisico italiano Carlo Rubbia ha stimato che un ipotetico quadrato di specchi di 40 000 km² (200 km per ogni lato) basterebbe per sostituire tutta l’energia derivata dal petrolio prodotta oggi nel mondo, mentre per alimentare un terzo dell’Italia bastava un’area che producesse la potenza di 15 centrali nucleari: vasta, in pratica, quanto all’area circoscritta dal Grande Raccordo Anulare”.
Meditate gente, meditate.
Per par condicio segnalo i libri di Armaroli:
Emergenza energia. Non abbiamo più tempo.
Energia oggi e domani. Prospettive, sfide, speranze.
Energia per l’astronave Terra. L’era delle rinnovabili.
Energia per l’astronave Terra. Con gli scenari energetici per l’Italia di domani.
Energia per l’astronave Terra. Quanta ne usiamo, come la produciamo, che cosa ci riserva il futuro.
Io credo che ci sia un progetto, non troppo velato, mirato a (ri)trasformare l’automobile e l’energia elettrica in beni di lusso come lo erano cento anni fa.
A meno di non rivalutare il nucleare…