Belli e Dannati 2, storie di una F1 che non esiste più
Dodici racconti ambientati negli anni d’oro della Formula 1, il ventennio “Settanta-Ottanta” che vide rivalità memorabili, lutti tragici e storie da operetta in un tempo in cui il paddock era in realtà il retrobox senza paillettes dove i team più ricchi arrivavano con una semplice bisarca e gli ultimi dello schieramento con la monoposto sul carrello. A proporli è Luca Dal Monte, cremonese formato esportazione che, al termine di una carriera nel mondo automotive da PR in posizioni sempre più apicali (Direttore della Comunicazione in Ferrari of North America e poi in Maserati) ha scelto di dar spazio e lustro alla sua vena letteraria con una serie di saggi e romanzi di cui Belli e Dannati 2 rappresenta l’opera più recente, in libreria da sabato 18 febbraio.
BELTOISE, VINCITORE SCONOSCIUTO. Non aspettatevi di trovare aride cronache di Gran Premi iridati o melense “storie rosa” di quel pilota con quella soubrette. Al massimo troverete le tensioni tra Barbro e Ronnie Peterson in rapporto ai rapporti con Colin Chapman e la Lotus. Qui, invece, si respirano benzina e lubrificanti, si ascoltano motori a 6, 8 e 12 cilindri, aspirati e turbo. Si legge la storia della Formula 1, sia pure attraverso episodi. Alcuni dei più significativi. E si ritrovano sogni, paure, vittorie e sconfitte, trionfi e polemiche. A dominare la scena dei primi due racconti, insieme con l’acuto inviato (Leo, per citare il “vero” Leopoldo Canetoli, anche questi non era presente alla gara) di un quotidiano deciso a non subire la prepotenza del direttore (incline a proteggere Enzo Ferrari anche oltremisura) nel raccontare i fatti, è Jean-Pierre Beltoise, pilota francese che prima, alla 1000 Chilometri di Buenos Ayres del 1971, valida per il Mondiale Marche per Prototipi, con una manovra azzardata animata dal tentativo di portare ai box a spinta la sua Matra Simca rimasta senza benzina, determina le condizioni che genereranno l’incidente mortale di Ignazio Giunti, e poi, al Gran Premio di Monaco del 1972, porta al successo la sua BRM a 12 cilindri cogliendo la sua prima e unica vittoria in Formula 1.
HESKETH, IL SOGNO INFRANTO. Pura leggenda è anche il “dietro le quinte” della prima vittoria di James Hunt in Formula 1, al Gran Premio d’Olanda a Zandvoort nel 1975 con la Hesketh 308, la monoposto che l’eccentrico (e danaroso) Lord Alexander Hesketh mise in pista dal 1974 al 1978 cogliendo però un solo successo, sia pure abbondantemente innaffiato da champagne della miglior qualità (Veuve Cliquot, si intuisce tra le righe). Vittoria tanto attesa quanto meritata ma non determinante per garantire un futuro di successo al team inglese, complice anche una sfortunata liaison con quello che sarebbe dovuto diventare lo sponsor principale dalla stagione successiva (Parmalat).
RAPITI PER UN GIORNO. E cosa dire delle vicende dei fratelli Wilson ed Emerson Fittipaldi, della Copersucar e delle ingerenze, addirittura dalle più alte cariche dello stato brasiliano? Romanzate, forse. Ma da incollare gli occhi al libro di Dal Monte almeno fino alla fine del racconto, con una sorta di rapimento per convincere “Emmo” a lasciare la McLaren a fine 1975 per salire al volante della monoposto della scuderia da lui fondata in quello stesso anno nel tentativo di portare quei risultati che Wilson non riusciva a garantire.
UNA NOTTE IN CHIESA A VIENNA. Non manca una melodrammatica ricostruzione dell’incidente di Niki Lauda al Nürburgring visto dalla casa viennese del nonno del pilota austriaco e dalla chiesa dov’egli si recò a supplicare, con il sacrestano, la salvezza, la sopravvivenza di quel nipote che non aveva mai aiutato nel suo sogno di correre ai massimi livelli. Una storia, questa, che si intreccia con quella del ritorno alle corse di Niki a Monza, cinque settimane dopo l’incidente al Gran Premio di Germania, per cercare di difendere le sue chance di rivincere il titolo mondiale contro l’assalto di Hunt su McLaren.
SPAZIO AI SECONDI, MA SENZA TITOLO. Un ritorno che vede svettare però la presenza di Carlos Reutemann, quasi ignorato in pista dal personale Ferrari dedito al minimo indispensabile sulla terza 312 T2, quella con il curioso numero 35 su musetto e cockpit. Quel Reutemann che si illuse, due anni dopo, passando alla Lotus neoiridata con Andretti, di poter ripetere la cavalcata vittoriosa dell’americano d’Istria e nella realtà (cioè in pista) sconfitto dalle Ferrari di Scheckter e Villeneuve ma anche dalle Ligier-Ford di Laffite e Depailler. E poi l’incidente di Ronnie Peterson a Monza, con il successivo processo a Riccardo Patrese incolpato a torto, dagli stessi colleghi piloti, del crash alla partenza del Gran Premio d’Italia, con tutti i dubbi della vigilia del pilota svedese, conteso dalla McLaren ma quasi incapace di lasciare la corte di Colin Chapman. E, tra i vincitori senza titolo iridato, anche Clay Regazzoni che, dopo tante occasioni sprecate (e non sempre da lui!) in Ferrari, trovò la soddisfazione di regalare a Frank Williams il primo successo da Costruttore, in quel Gran Premio di Gran Bretagna del 1979.
262 PAGINE DA LEGGERE TUTTE D’UN FIATO. Un libro da leggere senza la pretesa di trovare classifiche e palmares e neanche precisi riferimenti temporali (che l’esperto saprà riscostruire agevolmente) ma solo per il gusto di riscoprire una Formula 1 d’altri tempi e personaggi dal carisma oggi sconosciuto al 90% dei protagonisti dell’attuale Circus. Con il risultato molto probabile di voler sapere e scoprire di più sulle corse di quegli anni, se ancora non le si conoscono.