Renault 5 Turbo: lotta libera

Renault 5 Turbo: lotta libera

Parco Regionale Naturale della Lessinia, provincia di Verona. Un altopiano bucolico d’estate e incantato d’inverno, un luogo fonte di felicità per famigliole, escursionisti, ciclisti e appassionati di auto. I panorami sono vasti e pacifici e l’asfalto è sufficientemente liscio da permettervi lunghe tirate malviste dalla legge. Il punto d’arrivo è il Passo del Branchetto, che offre una superba vista fino ai Monti Lessini. Beh, questo nella teoria…

UNA SCINTILLA BLU. Nella pratica vengo avvolto da un banco di foschia delle dimensioni della Namibia appena uscito a Verona Sud, mi illudo che sulla cima le nuvole si apriranno ma in cambio delle mie speranze trovo solo tre cose: nebbia, neve e ghiaccio. Un sacco di ghiaccio, ovunque; nei piazzali, ai bordi della strada e alle volte a metà curva; un idillio quando dovete testare la versione stradale di uno dei mostri sacri del Gruppo B. Scendendo dalla mia auto rischio la vita – e l’attrezzatura – solo tre volte, visto che il parcheggio della malga prescelta è diventato una pista di pattinaggio durante la notte. Nel frattempo l’evidenziatore più cattivo dell’altopiano – una Renault 5 Turbo 1 del 1981 – è stato scaricato dal furgone, e non c’è foschia che tenga: ogni singolo sguardo si deposita su quell’arrogantissima scatoletta bicolore. 

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UNA QUESTIONE DI FAMIGLIA. E poi, non stiamo parlando di una R5 Turbo qualunque. Innanzitutto, si tratta di una Turbo 1 (il cui nome in realtà è Turbo e basta), prodotta in molti meno esemplari rispetto alla Turbo 2 e con tetto, portellone e portiere in alluminio. Anche gli stravaganti interni sono realizzati su misura, mentre la serie dopo utilizza solo acciaio e condivide gli interni con la R5 base. Seconda cosa, questa 5 vanta un passato nelle corse. Il fratello del proprietario, scomparso in uno sfortunato incidente, correva nel Gr. 4 proprio con l’auto che vedete in queste foto, e che poi fu venduta a metà anni ’80. Nel 1988 Osvaldo, l’attuale proprietario, riuscì a ricomprare la Turbo 1 del fratello decidendo di riportarla stradale. O quasi. 

UN DOLCE, POTENTE RISVEGLIO. Il piccolo e rabbioso 1.4 litri turbo non eroga più 250 cavalli, bensì 210 e probabilmente qualcosa in più, grazie a una maggiore pressione di sovralimentazione e a camme dal profilo più aggressivo. Restano il cambio a rapporti ravvicinati, il volante a due razze Momo (al posto del buffo volante a ‘L’ della Turbo 1), i bellissimi cerchi Gotti scomponibili di 13’’ e parte della strumentazione da gara. Conti alla mano ci siamo io, più neve che nel film Frozen e una bestiola dalla reputazione letale… resa ancor più letale. Gli allibratori non scommetterebbero un soldo bucato sulla mia sopravvivenza. Dopo qualche capriccio – l’alta quota e l’ossigeno rarefatto non aiutano – il quattro cilindri esplode risuonando per tutto l’altopiano, un gutturale spettacolo di fischi, gorgoglii e risucchi così grezzo e seducente da far vergognare qualunque moderna super sportiva ibrida. 

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DR. JEKYLL E MR. HYDE. Il mio piano malefico (chiamasi altrimenti legittima difesa…) è quello di cominciare gli scatti statici pregando che il tanto preannunciato sole faccia capolino, sciogliendo il ghiaccio e scaldando tiepidamente l’asfalto. In questo modo ho anche tempo di scrutare la visione blu e azzurra disegnata da Marc Deschamps e Marcello Gandini, e frutto della mente di Jean Terramorsi, capo del reparto corse Renault. Non credo esista compatta più scenografica e minacciosa, Clio V6 compresa. Forse solo una Metro 6R4 è paragonabile. La Turbo 1 nasce come erede spirituale della A110 e della 5 Alpine, oramai non più in grado di fronteggiare l’avanzata delle rivali nel mondo delle corse. Così Terramorsi – probabilmente tra una bottiglia di scotch e l’altra – deve aver pensato: “Maaa, se prendessimo una tenera 5, ci piazzassimo il motore in posizione centrale e la facessimo a trazione posteriore allargandola a dismisura?”. Lo stupito assistente guarda il suo capo, prende anche lui una bottiglia di scotch e di colpo trova l’idea eccezionale. Terramorsi scomparirà prematuramente a causa di un infarto ma altri intrepidi porteranno avanti il suo progetto, che univa la rivoluzionaria tecnologia turbo usata in Formula 1 dalla Renault a un’impostazione meccanica da supercar. Il tutto, come se tutto ciò non fosse abbastanza, dentro un’utilitaria da 900 chili.

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FINALMENTE, IL SOLE. Le scocche della 5 vengono inviate alla carrozzeria Heuliez che le allarga, le allunga, rinforza e modifica il telaio e rispedisce il tutto alla Alpine di Dieppe per l’assemblaggio finale. Viene persino interrotta la produzione della A310 V6 per costruire in fretta e furia i 400 esemplari necessari all’omologazione FIA. La Turbo non vincerà mai un mondiale ma diventerà un mito nel Gr. 4 e nel Gr. B, ottenendo anche qualche vittoria iridata, come a Montecarlo o in Portogallo. Ma torniamo a noi: chiusa questa piccola digressione storica, il sole – sospiro di sollievo – ha iniziato a illuminare tutta la Lessinia, rendendo l’altopiano lucido e soprattutto tiepido. La neve comincia a sciogliersi e per pranzo comincio a pensare che se giocherò bene le mie carte potrò anche sopravvivere. Mangiamo due panini al volo e termino qualche camera car (utilizzando una Megàne RS 265 Cup, per restare in tema baguette), e intorno a metà pomeriggio ho sufficiente coraggio per scoprire se la larghissima 5 sia davvero più pericolosa di un capodanno a Napoli. 

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COL CUORE IN GOLA. Dietro è irrazionale a vedersi. Pare una 5 tamponata da una Countach tanto sembrano fuori luogo quelle gomme, comicamente sfalsate rispetto all’anteriore. Aggiro l’enorme lato B – così abbondante da far venire atroci complessi di inferiorità a Kim Kardashian – e mi accomodo nei coloratissimi interni del ‘Turbone’ coi suoi dieci classici quadranti e i sedili Bertone. Cinture, staccabatteria ruotato e premo il pulsante rosso che ravviva il quattro cilindri. La pedaliera è leggermente sfalsata verso sinistra e la frizione in rame è un macigno. Quando attacca lo fa “o tutto o niente”, di conseguenza non potete permettervi di esser timidi con l’acceleratore. La leva del cambio ha una corsa non troppo lunga né imprecisa a dispetto dei leveraggi (la trasmissione è quasi a sbalzo, al retrotreno), ma all’inizio non devo nemmeno disturbarlo molto. Prima devo prendere confidenza con questa “cattiva ragazza”, e sono agitato come a un primo appuntamento. 

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SE NON LE TIENI TESTA, TI METTE CON LE SPALLE AL MURO. Lo sterzo è pesante, il rombo del motore sovrasta le mie preoccupazioni e in breve capisco che per ottenere qualcosa dalla 5 non potrò avere il lusso di andarci piano. L’altitudine peggiora notevolmente il turbolag e l’erogazione, ma sotto i 4.000/4.300 giri non accade praticamente nulla. Giusto il necessario per muoversi; poi la chiocciola dello scarico inizia a sibilare e quando di colpo va in pressione passate dal pensare “e allora?” a “troppo, troppo, troppo!”. L’alta quota farà pure svanire un 15-20% degli oltre 200 cavalli a disposizione, eppure il calcio nella schiena è ancora prepotente, simbolo di un coinvolgimento di guida d’altri tempi. Un quarto d’ora di ‘adattamento forzato’ verso valle e risalgo al Passo del Branchetto, determinato a lottare alla pari con la Turbo 1. 

UNO STERZO CHE AFFATICA E CONVINCE. I freni hanno un mordente meno allarmante del previsto, ma il pedale affonda troppo rendendo arduo il punta-tacco, e il volano leggero fa crollare i giri così in fretta che in scalata devo essere più rapido di un centometrista. Poi c’è la questione curve. Con il volante della 5 non sterzate, ci scendete a patti. La corona è tosta da muovere e far predominare i miei bicipiti è tutt’altro che semplice, ma dopo un vigoroso braccio di ferro riesco ad avere la meglio. Le informazioni arrivano abbastanza accurate e l’inserimento è svelto e preciso, senza quel sottosterzo che affligge la sua erede, la muscolosissima Clio V6. Anzi, quelle gommine anteriori – che sembrano cuccioli partoriti dalle gomme posteriori – tengono la corda con la presa di un arrampicatore. Chi l’avrebbe detto…

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SCALDA IL CUORE… E ANCHE LA SCHIENA. Vero anche che il 1.4 è decisamente più leggero del 3.0 della Clio, sbilanciando meno il posteriore della 5, che si sta rivelando ‘solo’ molto intimidatorio, non letale. Esco da un tornante in seconda piena provocando la turbina che entra rabbiosa, il posteriore allarga con un guizzo ma il grip impressionante delle larghissime gomme e un breve controsterzo rimettono subito le cose a posto. Il liscio asfalto della Lessinia (ancora umido in molti punti) favorisce il rigido assetto, che dà al Turbone un bilanciamento davvero buono in percorrenza e lima la maggior parte del rollio. Il passo non è ovviamente pari alle hot hatch stradali di oggi, ma è comunque sorprendente. Visto che la violenta Renault non riesce a uccidermi dinamicamente escogita un altro piano, stordirmi con esalazioni e calore. Parte dell’esperienza (letteralmente) intossicante di questa Turbo 1 è data dall’odore di olio, gas di scarico e benzina che pervade l’abitacolo, mentre il propulsore appoggiato alla mia schiena sta sviluppando il calore di un piccolo sole… tanto che spero di non saltare in aria prima della fine della prova. Dettagli.

EMOZIONI DI UN ALTRO PIANETA. Il sound continua a essere un concerto di fiati gorgoglianti, riempie tutto l’altopiano interrompendosi solo tra una cambiata e l’altra, con innesti svelti seppur un po’ troppo legnosi. Lascio alle mie spalle una curva in terza piena, sorrido e butto l’occhio negli specchietti, scrutando quelle prese d’aria laterali tanto sexy e pensando (sigh!) che il mondo non stia andando per il verso giusto. Un progetto così estremo e audace al giorno d’oggi verrebbe sotterrato come un osso, non celebrato. Terramorsi verrebbe mandato al rogo come un eretico, anziché lodato per la sua brillantezza e il suo ardore progettuale, e tale concept potrebbe veder la luce solo sotto forma di ciarpame elettrico castrato da paccate di elettronica e dal peso di un quadrilocale. 

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TI STANCA, MA TI RENDE FELICE. La 5 mi dà ragione, ingolla ancora più benzina e si proietta verso l’orizzonte con l’ago del contagiri che oscilla attorno a quota 6.000. Se potesse vi schiaffeggerebbe con un guanto di ferro sfidandovi a guidarla ancora più forte, e per quanto sia un pensiero un po’ masochista la preferisco nei tratti da seconda-terza, dove la dinamica è più vivace e siete costretti ad armeggiare col cambio per evitare il mostruoso turbo lag e a lottare con veemenza col volante. Tra lo sterzo granitico, la pedaliera montata… un po’ così e il motore che tende a spegnersi in manovra (sempre per la quota), e poi il nevischio e i suoi ‘inebrianti’ umori, la Turbo 1 è maledettamente impegnativa. Ecco spiegato perché mi son ritrovato in maglietta durante la guida. Mi fermo genuinamente spossato, ma dai morbidi sedili scendo raggiante: non solo sono vivo, la 5 si è rivelata più interpretabile di quanto immaginassi, severa ma gratificante, se riuscite a tenerle testa. La neve e il ghiaccio non ci hanno scoraggiati, scoprendo un’omologata stradale permalosa, maleducata, e per questo fantastica e indimenticabile. 

(Un ringraziamento speciale a Osvaldo per la sua preziosa Renault 5 Turbo)

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Un commento su “Renault 5 Turbo: lotta libera”
  • Uber ha scritto:

    Spettacolare 🤩🤩complimenti per l’articolo, grazie mille👍👏👍👏

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