Porsche 924: non chiamatela Volkswagen
La 924 non è una vera Porsche. È un coacervo di vecchi pezzi Volkswagen travestito da macchina sportiva. A ormai quasi cinquant’anni dal lancio del modello più innovativo nella storia della casa di Zuffenhausen (nel 1976 fu il primo con il motore davanti e il raffreddamento a liquido), il vecchio adagio è ancora difficile da sradicare, specie negli appassionati italiani più ‘campanilisti’. Eppure stiamo parlando di un’auto che, insieme alle derivate 944 e 968, per un ventennio buono, con 400.000 esemplari venduti ha letteralmente trainato le vendite della Porsche, dandole fiato in uno dei suoi momenti più difficili e assicurandole le risorse necessarie allo sviluppo delle future Boxster e 911 raffreddate ad acqua. Tempi che furono, potrebbe obiettare qualcuno, d’accordo, ma c’è un dato di fatto. E cioè che, piaccia o non piaccia, la Porsche 924 sta vivendo una seconda giovinezza e sul mercato delle auto d’epoca la sua richiesta è in costante ascesa. Solo merito del blasone di uno dei marchi più prestigiosi al mondo e di un prezzo abbordabile ancora per molti, o sotto sotto c’è davvero qualcosa per cui vale la pena assegnarle i gradi di una vera Porsche?
UN PO’ DI STORIA. Per capirlo e cercare di sciogliere una volta per tutte ogni dubbio al riguardo, non ci siamo limitati a ripassare la sua storia. Storia in cui, a onor del vero, la Volkswagen c’entra eccome. Fu infatti proprio il colosso di Wolfsburg, all’epoca tra i maggiori clienti della Porsche (che, è bene ricordarlo, prim’ancora di essere un costruttore di automobili è sempre stata una società di consulenza ingegneristica), a chiederle di sviluppare una vettura sportiva economica, senz’ancora sapere se dal progetto EA 425 sarebbe nata un’Audi o a una Volkswagen. Una cosa era certa, però: produrla doveva costare il meno possibile. Ecco quindi spiegata la condivisione massiccia di componenti interni con modelli popolari del gruppo, per esempio la neonata Golf disegnata da Giorgetto Giugiaro. Quando però, alla fine del 1974, l’auto era ormai pronta a entrare in produzione, in preda alla crisi petrolifera innescata dalla guerra dello Yom Kippur la Volkswagen decise di fare marcia indietro e abbassare il tiro, derivando dalla Golf la Scirocco, una coupé dai costi decisamente più contenuti. Rimaneva quindi un’auto fatta e finita, ma senza identità, e così la Porsche, che con l’imminente pensionamento della piccola 914 avrebbe dovuto ridisegnare la base della propria gamma, restituì 40 dei 50 milioni di marchi ricevuti dalla Volkswagen e riconobbe la maternità del nuovo modello, che battezzò, appunto, 924. Un nome perfetto per una piccola quattro cilindri che avrebbe affiancato la 928, la super sportiva con motore V8 che la casa tedesca stava sviluppando per conto proprio e il cui schema transaxle era ripreso proprio dalla sorella minore.
RICICLARE CON STILE. Ora, è chiaro che elencare gli organi meccanici mutuati dalla Volkswagen significa offrire una ghiotta sponda ai detrattori della Porsche 924. Ma visto l’esito dell’esame della strada, che approfondiremo tra poco, lo facciamo volentieri, e pure con un pizzico d’impertinenza. Tanto per cominciare, per chi non lo sapesse, le sospensioni anteriori sono un incrocio tra quelle del Maggiolone e della Golf. Quelle posteriori, invece, derivano dal mitico ‘Bulli’ (sì, il pulmino dei figli dei fiori…). I freni, anteriori a disco e posteriori a tamburo, arrivano dritti dalla berlina K70, un’auto che sembra disegnata da un bambino e che, se non fosse la prima Volkswagen a trazione anteriore della storia, persino il più nerd tra gli storici dell’automobile farebbe fatica a ricordare. Dulcis in fundo, il motore: alla Porsche, naturalmente, ci hanno messo mano, e si sente, per questo resta difficile credere che quel quattro cilindri in linea da 1984 cc provenga dal cofano del furgone Volkswagen LT. Sul fatto che la meccanica sia un melting pot di ingranaggi a buon mercato, insomma, non ci piove. Ma che importa, se a farli funzionare a meraviglia ha provveduto una delle aziende più ferrate in materia? Prima di metterci al volante e raccontarvi finalmente come va e come si guida l’auto che non è nata, ma è diventata Porsche, un flash sullo stile. Bassa, slanciata, con i fari retrattili, il cofano motore lungo e spiovente e un portellone interamente vetrato che rende l’abitacolo incredibilmente luminoso per una GT. Desiderare di più da una “station wagon sportiva da famiglia”, come recitava, un po’ pretenziosamente, uno slogan pubblicitario dell’epoca, è obiettivamente difficile.
IN PERFETTO EQUILIBRIO. Per capire e raccontare la Porsche 924, dicevamo, non ci siamo soffermati solo su disegni tecnici e libri specializzati. Avendo sottomano un bell’esemplare del 1982 in un’insolita livrea Mocha Black, un intenso marrone caffè che all’ombra diventa praticamente nero, in un freddo pomeriggio di sole abbiamo puntato i fari verso le colline del Torinese, dove le strade sono lingue d’asfalto silenziose che s’aggrovigliano in tornanti stretti e ripidi. Salendo a bordo, la sensazione di essere su una macchina sportiva è immediata. Si sta seduti a poche manciate di centimetri da terra e i sedili, identici a quelli della coeva 911, sono molto confortevoli, ben profilati e rifiniti. Allacciate le cinture, schiena e gambe sono perfettamente ancorate, e anche per chi è un po’ più alto della media è facile trovare la posizione per raggiungere comodamente il volante, il cambio e la pedaliera. Tutto è a portata di mano, e non è un modo di dire. Malgrado lo sterzo non sia dei più leggeri, specialmente in manovra, le curve s’impostano senza sforzo. Nella guida pulita – che rimane senz’altro la più efficace, data l’impostazione tecnica dell’auto – il ritorno del volante non è rapidissimo. Ed è un bene, perché dà una misura molto precisa del progressivo riallineamento delle ruote anteriori. Il posizionamento anteriore del motore poi, che all’epoca del debutto della Porsche 924 fece gridare addirittura all’eresia una rivista prestigiosa come Car and Driver, è una vera benedizione, perché contribuisce a concentrare sull’avantreno il 48 percento della massa complessiva della vettura. Il restante 52 percento, costituito essenzialmente dal blocco cambio-differenziale, grava sull’assale posteriore, per una distribuzione dei pesi pressoché neutra. Il risultato è una macchina non solo straordinariamente equilibrata, ma anche facile da controllare, perché il momento di inerzia, molto più alto rispetto a quello di un’auto a motore posteriore-centrale, evita l’innescarsi di bruschi sovrasterzi.
LE COSE DA TENERE D’OCCHIO. Il motore è molto affidabile e se l’impianto K-Jetronic funziona a dovere gira come un orologio. Se al minimo boccheggia un po’, invece, potrebbe essere colpa di una candela sporca, oppure del piattello che gestisce la testina del distributore da cui si diramano i cinque tubicini collegati agli iniettori dello starter e dei cilindri: se la pressione della benzina non rientra nei valori di riferimento, va centrato e registrato correttamente. L’erogazione del motore è fluida e progressiva, anche se bisogna tirare un po’ le marce e superare i 3500 giri per sentirne appieno la spinta e muoversi con il brio che ci si attende da una Porsche. Con 125 cv, ovviamente, non ci si può attendere uno scatto e un allungo brucianti, ma la leggerezza dell’auto (1080 kg), unita alla perfetta spaziatura tra i rapporti del cambio a 5 marce, aumentano e di non poco la percezione della velocità. Grazie ai leggendari sincronizzatori Porsche, poi, gli innesti sono precisi e velocissimi, anche in scalata, circostanza nella quale per i guidatori più esperti è praticamente impossibile resistere alla tentazione di eseguire il punta-tacco. Sicura, anche se non molto potente, la frenata. L’auto non si scompone mai, anche se per rallentare e fermarsi in fretta è preferibile puntare sul freno motore. Rientrano nel novero degli eventi ‘normali’, infine, i piccoli fenomeni di risonanza connessi alla rotazione dell’albero motore, che è lungo ben 1,7 metri a fronte di un diametro di appena 20 millimetri. Nulla di strano, quindi, se si dovesse avvertire qualche vibrazione all’altezza del cambio, specie viaggiando con le marce alte a basso numero di giri. Basta buttare giù un paio di marce, premere a fondo sul gas e aspettare la prossima curva. Il divertimento è assicurato.
(Si ringrazia per la preziosa e amichevole consulenza tecnica Alessandro Mazzeo, Service Manager del Centro Porsche Torino)