Lotus Emira, si guida che è un piacere
UN MODELLO SPARTIACQUE. Da un lato la purezza di guida delle Lotus doc, dall’altro il comfort di una vera granturismo. La piacevolissima sorpresa è che, stavolta, sono due facce della stessa medaglia, perché il cocktail preparato dai progettisti della casa britannica ha un sapore davvero inedito. Look da supercar, verve da sportiva di razza e una versatilità mai vista prima: la nuova Lotus Emira, primo modello nato da zero sotto la gestione del colosso cinese Geely, proprietario della casa di Hethel dal 2017, ha tutte le carte in regola per stupire. È l’ultima Lotus spinta da un motore a benzina (lo stesso 3.5 V6 di origine Toyota e sovralimentato con compressore volumetrico che ha già equipaggiato Exige ed Evora), prima della progressiva elettrificazione di una gamma che, di qui al 2028, nell’ambito del piano decennale Vision80 si amplierà con l’ingresso di nuovi modelli super lusso a batteria (in rampa di lancio ci sono la suv Eletre e la Evija, una hypercar da 2.000 CV).
GRANDI AMBIZIONI. La Lotus Emira (che nella versione di lancio First Edition da noi provata costa 102.780 euro e in autunno sarà disponile, a un prezzo di 95.480 euro, anche con il 2.0 turbo a quattro cilindri da 360 CV e il cambio a doppia frizione derivati dalla Mercedes A35 AMG) è l’ultima rappresentante di un periodo unico e irripetibile, per la casa inglese. E l’eredità della Elise – rimasta sulla breccia per 25 anni e vera artefice, nella seconda metà degli anni ’90, della rinascita di un’azienda ormai sull’orlo del baratro – pesa ancor di più, considerato che la nuova sportiva raccoglie anche il testimone della Exige e della Evora. Sarà all’altezza del compito? I “numeri” ci sono tutti, ma per ora, sul fronte commerciale, con un pizzico di scaramanzia in quel di Hethel vige il massimo riserbo. Non è un mistero, tuttavia, che la linea di montaggio della storica fabbrica immersa nel verde della contea del Norfolk (e recentemente rinnovata con un investimento di circa 100 milioni di sterline), ha una capacità di 7000 auto all’anno. Ovvero una ogni 17 minuti: pura fantascienza, fino a ieri, per un costruttore che si tiene stretto il record di 51.738 macchine prodotte negli ultimi 26 anni ma ha rivelato d’aver già riempito il libro degli ordini della Emira con più auto di quelle vendute tra il 2016 e il 2021.
COME VUOLE LA TRADIZIONE. La ricetta della Lotus Emira per inseguire il successo e dare filo da torcere alle rivali (le più “naturali” e agguerrite, per prezzo e prestazioni, sono la Porsche Cayman e l’Alpine A110 S, qui per saperne di più) è quella, ormai super collaudata, delle antenate appena andate in pensione. Ovvero un telaio molto leggero composto da estrusi di alluminio incollati (pesa un centinaio di chili e riprende una soluzione che deriva dal campo aeronautico) e un motore robusto affidabile, il 3.5 V6 da 280 CV della Toyota Camry giapponese (che, con l’aggiunta di un compressore volumetrico Edelbrock e alcune modifiche ad aspirazione e scarico, raggiunge i 400 CV). Aggiungendo un cambio manuale (sempre di origine Toyota, ma con i rapporti accorciati) più preciso e manovrabile rispetto al passato e sospensioni a ruote indipendenti con doppi bracci oscillanti in alluminio forgiato, il divertimento è garantito.
È BELLA E SI FA NOTARE. Il frutto del mix di tutti questi elementi è incredibilmente “esotico”, facendo un confronto con la recente produzione della casa inglese. Non c’è dubbio che Elise ed Exige siano auto dai sapori molto forti e netti, nella loro essenziale plasticità di auto alte “un niente da terra” e fatte apposta per divorare l’asfalto (meglio ancora se quella di una pista). Ma la Lotus Emira va oltre, perché denota un accento nuovo, con uno retrogusto di supercar che persiste anche dopo aver abituato l’occhio alla bellezza delle sue forme. La linea è dichiaratamente ispirata a quella della sorella maggiore Evija (qui per saperne di più), ma risulta, se possibile, ancora più “sexy”, perché compressa in un corpo assai più compatto. Corre da ferma la Emira, e non è un modo di dire, ma è premendo il pulsante d’accensione del motore, protetto da una levetta rossa sul tunnel centrale, che si aprono le danze.
IN PISTA È A SUO AGIO. È un luogo mitico, quello del nostro primo approccio con la Lotus Emira: la pista di prova dell’azienda, composta da un susseguirsi di curve lente e veloci tutte molto “tecniche” che si snodano per poco più di tre chilometri e mezzo a poche centinaia di passi dalla fabbrica. Dare del tu alla Emira, almeno a ruote dritte, viene pressoché immediato e spontaneo: i comandi sono tutti molto facili e comodi da azionare; il volante a tre razze, grazie al rivestimento scamosciato, si impugna bene, nonostante la corona non sia tra le più sottili; la frizione non è leggerissima, ma neppure un macigno; il cambio manuale è svelto e preciso, con un ingranamento dei rapporti tutto sommato dolce e non così “contrastato” come pure ci si potrebbe attendere da una supersportiva (l’automatico, un convertitore di coppia prodotto dalla Aisin, è a richiesta e si paga a parte). L’inserimento in curva è preciso, le ruote ben piantate a terra, il bilanciamento pressoché perfetto, anche nelle staccate più violente. L’unica accortezza richiesta è quella di dosare sempre con grande attenzione l’acceleratore: con il motore centrale e la trazione sulle sole ruote posteriori, esagerando con il gas a ruote sterzate è molto facile innescare sbandate che, per essere controllate, richiedono riflessi pronti e una buona dose di “mestiere”.
SU STRADA IMPEGNA E DIVERTE TANTO. A differenza delle sorelle fresche di pensione, la Lotus Emira non è esattamente un “animale da pista”. Il suo habitat è assai più vario, come dimostrano le ottime doti di stradista sfoderate dall’auto sulle strade aperte al traffico. Innanzitutto, è molto più comoda e lussuosa delle Lotus a cui siamo abituati, oltre a essere dotata di quasi tutte le moderne tecnologie ormai irrinunciabili su vetture di questa categoria (mancano però, al momento, i sistemi di assistenza alla guida come, per esempio, la frenata automatica d’emergenza). Specie con il set-up dell’assetto più “turistico” (l’auto si può ordinare in due configurazioni: Sport e Touring) si viaggia assorbendo bene le asperità della strada, anche se lo sterzo tende a “copiare” un po’ troppo pedestremente le imperfezioni dell’asfalto. Quello che ricopre le anguste stradine tutte curve e saliscendi intorno a Hethel impone la massima concentrazione, con reazioni sul volante talvolta improvvise che vanno contrastate con continue correzioni, specie in modalità Track, con gli aiuti elettrici alla guida completamente disattivati. Un difetto? Un pregio? Più semplicemente, un carattere dominante del Dna della Emira, i cui filamenti si riallacciano, replicandoli in un compromesso tra prestazioni e comfort davvero inedito per una Lotus, alle auto che hanno reso famoso ai quattro angoli della Terra Colin Chapman e il suo credo immortale: “Semplifica, poi aggiungi leggerezza”. La sensazione è che oggi, anche alla luce di come stanno andando le cose nel mondo dell’auto, la Lotus abbia fatto addirittura qualcosa in più.