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Maserati

Alcuni “disastri” degli anni ’70 e ’80 appannano ancora oggi l’immagine di un marchio che qualsiasi gruppo automobilistico vorrebbe avere perché il suo “heritage” è sensazionale. E infatti la Fiat, a suo tempo, non se l’è fatto sfuggire. I fratelli Maserati - Alfieri, Ettore, Ernesto e Bindo - iniziano la loro carriera nel 1914 preparando le Isotta Fraschini per le gare su strada, ma la prima vettura a portare il loro marchio è la Tipo 26 del 1926. I successi nelle competizioni cominciano ad arrivare quasi subito, non così quelli finanziari, tanto è vero che già nel 1937 l’azienda viene ceduta all'imprenditore Adolfo Orsi, che la sposta dalla sede originaria di Bologna a Modena. Nel 1940 e 1941 la Maserati vince addirittura la 500 Miglia di Indianapolis e rimane tuttora l’unico marchio italiano ad esserci riuscito. Dopo la seconda guerra mondiale il Tridente sbarca in F1 e, nel 1957, vince il campionato mondiale con Juan Manuel Fangio. Dopodiché si ritira dalle corse per concentrarsi sulla produzione stradale. Nel frattempo, però, anche i modelli a ruote coperte, come la Tipo 60 “Birdcage”, si fanno onore nella loro categoria. Nel 1957 arriva la prima vera granturismo costruita in serie - la 3500 GT a sei cilindri - alla quale seguono altri modelli prestazionali ma anche lussuosi a motore anteriore come le Sebring, Mistral, Ghibli, Indy, Kamshin, Kyalami, ma anche le più estreme Bora e Merak a motore posteriore. Nel 1963 nasce addirittura una grande berlina - la Quattroporte - che diventa l’ammiraglia assoluta della produzione automobilistica italiana, tanto da diventare, nella terza generazione del 1979, l’auto ufficiale del nostro Presidente della Repubblica. Nel 1968, però, la proprietà della Maserati passa alla Citroën, per la quale a Modena stanno già costruendo un V6 destinato alla coupé SM, ma il rapporto non funziona e nel 1973 la Casa del Tridente viene messa in liquidazione. A quel punto si fa avanti l’imprenditore argentino Alejandro de Tomaso che, potendo contare su consistenti aiuti statali, salva l’azienda dalla bancarotta nel 1972. Nel 1982 De Tomaso azzarda il lancio della Biturbo, che è stata progettata in fretta e furia e ha tanti problemi, ma si dimostra velocissima (quando funziona) e ha un prezzo intrigante, quindi all’inizio, la richiesta è notevole. Poi i problemi di affidabilità fanno contrarre le vendite e neppure il lancio di tante derivazioni come Karif, Shamal, Ghibli e Quattroporte (queste ultime due non hanno nulla a che vedere con gli omonimi modelli originali), le risollevano del tutto. Tanto che nel 1993 De Tomaso cede definitivamente la Maserati alla Fiat, la quale “gira” formalmente il Tridente alla Ferrari nel 1997. Poi se lo riprende nel 2005 e costituisce un “polo” tecnologico Maserati-Alfa dal quale, tra l’altro, scaturisce la piattaforma sulla quale vengono realizzate le Giulia e Stelvio nate nel 2016. Il primo modello completamente nuovo dai tempi della Biturbo, dopo il passaggio alla proprietà torinese, è la 3200 GT del 1998, con motore 8 cilindri e doppia sovralimentazione. Che quattro anni dopo viene sostituito da un 4.2 V8 aspirato di origine Ferrari. E proprio la collaborazione con Maranello porta alla MC12, strettamente derivata dalla Ferrari Enzo, che segna il ritorno della Maserati nelle competizioni, e vince il campionato FIA GT, di valenza mondiale, ininterrottamente dal 2005 al 2009. Nel 2007 esordisce la grande GranTurismo coupé e nel 2013 è la volta dell’ennesima generazione della Quattroporte e della nuova Ghibli, diventata nel frattempo una berlina di dimensioni medio grandi. Nel 2016 si aggiungono alla gamma la prima suv Maserati, la Levante, e nel 2022 la Grecale, con la stessa impostazione ma dimensioni più compatte. E nel 2020 c’è anche il gran ritorno nel settore delle supersportive con la MC20. Quest’ultima è destinata ad avere una variante solo elettrica, così come la Grecale e la nuova generazione della GranTurismo.

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