Lotus Emira: emozioni in comfort zone

Lotus Emira: emozioni in comfort zone

È come il saluto di un vecchio amico, premuroso, atteso, cordiale ma, va detto, non certo caloroso. Il passo svizzero Julier ci accoglie offrendoci il meglio del suo vasto e selvaggio scenario, un panorama che farebbe sentire chiunque dentro ad un film in bianco e nero se non fosse per i paletti a bordo strada metà gialli. Un benvenuto gradito, eccetto che questa veduta surreale comprende più ghiaccio di un cocktail economico e un vento implacabile, uniti ad una quantità sterminata di neve che vortica trafelata attorno alla carrozzeria della nuova Lotus Emira, l’ultimo giocattolo puramente endotermico sfornato dai cancelli di Hethel. Non siamo finiti a raffreddarci in cima a questo scenico passo per caso. Lotus Europe ci ha gentilmente chiesto se volessimo riportare in Italia – partendo da Amsterdam, dove ha sede – la sinuosa sportiva inglese: passato mezzo secondo abbiamo accettato, un altro mezzo secondo ed era pronto l’itinerario per quello che si preannunciava un road trip invernale coi fiocchi. Letteralmente.

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DA CORSA, DA VIAGGIO. Le tempistiche sono risicate, partenza in tarda mattinata dalla capitale olandese e rientro per ora di cena del giorno dopo, comprendendo servizio fotografico, riprese e imprevisti vari. L’itinerario prevede Amsterdam – St. Moritz attraversando l’Olanda e tutta la Germania sfruttando le tanto chiacchierate Autobahn, facendo tappa a Zurigo e scavalcando Julier Pass per arrivare alla ‘Perla dell’Engadina’; circa 1.020 chilometri, alla quale ne dovremo aggiungere altri 300 per riportare me e il buon Cesare Nebbia a casa. Su una Exige S1 il viaggio sarebbe fattibilissimo, a parte una temporanea perdita dell’udito e la necessità di un buon fisioterapista una volta rientrati a casa. L’Emira vuole invece regalarvi la maggior percentuale possibile del coinvolgimento delle sorelline più racing ma con un comfort inedito (Evora ed Europa comprese), trovandosi col rognoso compito di dover sostituire in un colpo solo le fantastiche Elise, Exige ed Evora. Due posti secchi, un filo più praticità e una indole non solo da passo di montagna affrontato come se foste inseguiti da una volante, anche più rilassata e accogliente mantenendo sempre un look da mini-supercar.

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CHE BELLA!. Dal punto di vista estetico ci siamo: in foto non ero convinto a pieno, pareva troppo una Evora agghindata per il futuro, dal vivo invece la Lotus Emira ci ha stregato. I dettagli ripresi dalla hypercar elettrica Evija (in particolare le vaste prese d’aria sulle fiancate, i tagli nel cofano anteriore e le aperture gemelle al retro) sono integrati sapientemente e le linee più taglienti snelliscono i 1.446 chili della sportiva inglese; inoltre la “nostra” Lotus Emira è la First Edition, super accessoriata, targhette dedicate e con varie combinazioni di colori e materiali per carrozzeria e interni, l’assetto invece è quello ‘Sport’, più composto e rigido rispetto al ‘Tour’. La meccanica è il tasto apparentemente più dolente: il V6 con cambio manuale è uscito di scena rapidamente e in listino è rimasto solo il quattro cilindri AMG da 2.0 litri e 364 cavalli associato ad un doppia frizione a otto marce. Ma non tiriamo giudizi affrettati.

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PRIMA NON ERANO COSÌ. Atterriamo ad Amsterdam dopo un volo cancellato e uno ritardato di tre ore causa forti venti, veniamo accolti calorosamente dai ragazzi di Lotus Europe e subito sfamati nella loro elegante sede, molto stile ‘industrial’ e ariosa. Il nostro tempo già ridotto è stato eroso in maniera consistente, al che nascondiamo qualche antipasto in tasca e ci fiondiamo alla Emira. Ho pregato che non fosse nera (colore infame da fotografare, specialmente in mezzo alla neve) e non lo è: quel profilo esotico che ammicca alle McLaren è verniciato in un delicato grigio dai riflessi ghiaccio, abbinato a cerchi e dettagli in nero lucido, loghi gialli e pinze rosse. Si fa notare, e non poco, ma senza pretendere di essere la reginetta del ballo. I sedili color cuoio mi abbracciano fermamente bloccandomi in una posizione di guida bassa ed ergonomica, col vantaggio di riuscire ad uscire senza dovervi rotolare a terra come sull’Exige. L’abitacolo della Evora (la più GT del vecchio trittico) non era una prigione medioevale, tuttavia l’Emira porta il livello di rifiniture e abitabilità ad uno step successivo. I materiali sono di qualità, apprezzo il design non troppo elaborato della plancia e l’infotainment ha tutte le informazioni necessarie fornitevi da una grafica minimal e piacevole; la leggerezza è sempre un vantaggio, anche quando è solo visiva. Premo il pulsante Start, nascosto sotto ad una specie di unghia laccata, e risveglio quel propulsore che ha lo stesso numero di cilindri di una Fiat Punto. Un difetto? Non esattamente.

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4 CILINDRI CHE CONVINCONO. Siamo innamorati del V6 Lotus – sensuale, rude, violento – ma i ragazzi di Hethel sono caduti in piedi col 2.0 litri AMG: 364 cavalli, 430 Nm di coppia, 4,4 secondi sullo 0-100 e una velocità massima di 275 km/h, l’erogazione non sbiadisce agli alti e il sound è sufficientemente caratteristico per un quattro cilindri turbo. L’Olanda scorre via frettolosamente, in ottava marcia e a 130 fissi con il propulsore che ronfa a poco più di 2.000 giri, entriamo in Germania col crepuscolo e di colpo ecco il nostro semaforo verde, il cartello che ci esime da ogni limite di velocità. Passo da Tour a Sport, butto giù più della metà di marce a disposizione e affondo il pedale: la turbina sibila comicamente come se stessimo per decollare e le nostre schiene vengono premute conto gli schienali più che con la easyjet stamattina. Quota 7.000 e cambio, il 2.0 litri AMG è un insieme scorbutico di sbuffi e fischi, poderoso nella spinta, con poco lag e una scintilla in più di cattiveria appena passate quota 6.000 giri. In breve siamo a 230/240 km/h, velocità che riusciremo a toccare spesso nonostante un po’ di traffico. Col buio che avanza portiamo a casa un paio di puntate a 265 km/h prima di doverci nutrire in un triste McDonald’s e rimetterci in marcia per Zurigo, piuttosto colpiti dalla foga del motore; non sarà il mio amato 3.5 litri ma ha il suo perché, e per dovere di cronaca sappiate che fa risparmiare 12 chili rispetto al V6.

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ADESSO ARRIVA IL BELLO. Zurigo ci riceve a mezzanotte ancora vitale, il che non coincide con le seguenti nostre priorità “doccia-dormire-svaligiare il buffet della colazione-ripartire”. La mattina mi sveglio impaziente di approfondire il carattere della atletica Lotus: elettrizzanti le Autobahn, ma il brivido che cerco è sui passi, la vera cartina tornasole del viaggio per stabilire se la Lotus Emira sia degna o meno delle antenate. A differenza delle Autobahn le autostrade svizzere sono più restrittive della dieta di un vegano, se è indicato 100 km/h tu vai a 95 km/h per precauzione, ringraziando di poterti muovere più in fretta di un ciclo lunare. In un paio d’ore davanti a noi si staglia il Lago di Marmorera, nella mia testa lo ‘start’ per quella spettacolare cartolina innevata chiamata Julier Pass. Ci facciamo schiaffeggiare dal vento per una mezz’ora di scatti – il panorama candido era troppo invitante – e ritorniamo in auto: ora le cose si fanno serie.

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COMUNICA TANTO. Seleziono la modalità Track, la strumentazione diventa più aggressiva, il sound dello scarico più presuntuoso e il 80% dei controlli si prende una vacanza; le ottime Michelin Pilot Alpin invernali che montiamo avranno il loro bel da fare. Sguinzaglio i 364 cavalli del motore AMG e la Lotus Emira si proietta in avanti affamata di curve, un qualcosa che non manca a questo percorso. In pochi chilometri l’agile Lotus si ritrasforma da comoda GT a pura sportiva, con una propensione innata nel comunicare tutto ciò che vi è di meccanico e dinamico. Lo sterzo elettro-idraulico è ideale come resistenza e ricco di informazioni, non sembra di avere le mani direttamente sui mozzi delle ruote come capitava col il trittico che va a sostituire – parte della causa va imputata alle gomme invernali e alla superficie incerta dell’asfalto – ma parliamo comunque di un livello altissimo. Butto i 14 quintali della Emira nel primo tornante, la carrozzeria pare restringersi attorno alle mie spalle e il telaio mi spiazza subito con la sua naturalezza, lavora con voi, non il contrario, e rilasciando un pelo di gas in inserimento potete far ruotare di pochi gradi il retrotreno per favorire l’approccio al punto di corda. Questo sì che è ragionare. Nel finire la traiettoria affondo la seconda accompagnato da un traverso quasi dolce e mi fiondo in terza piena in una chicane veloce, approfittando di questa genuina compostezza.

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BENE IL SOUND, MENO IL CAMBIO. La Lotus Emira fluttua da una curva all’altra sgravando e caricando le sospensioni, il movimento è ipnotico, rilassante, quasi volesse dissimulare le attuali velocità nonostante stia guidando dentro ad un Ferrero Rocher bianco. L’inglese ha appreso quel tipico giochetto di prestigio di Hethel del mettervi facilmente a vostro agio, il che non significa potersi permettere di sottovalutare le condizioni di Julier Pass. Il doppia frizione non ci convince altrettanto: le cambiate di per sé sono discretamente rapide, è proprio il ritardo presente tra il vostro input e l’effettiva cambiata a infastidire. A proposito di fastidio… per spostarsi dalla retro alla prima bisogna necessariamente passare dalla folle, un doppio passaggio macchinoso, e ancor peggio la leva ha un movimento davvero poco logico: anziché tirare verso di voi per salire di marcia e spingere per scalare va mossa verso destra (!) per il rapporto superiore e verso sinistra per quello inferiore, meglio quindi affidarsi ai paddle. Punto a favore invece per il sound, personale, con una risonanza acustica che ricorda l’Alpine A110 e un ‘wooossshhh’ della pop off simile alla risacca del mare, in più l’avete attaccato alle orecchie a differenza della A45 AMG. L’Emira a 2.300 metri sta brillando, così non ci stupiamo di veder spuntare St. Moritz dopo breve tempo. La sfarzosa località invernale è la fine ufficiale del nostro viaggio, che in realtà si concluderà davvero alle rispettive abitazioni, la fine ufficiosa.

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QUANTO DIVERTE! Ci congediamo da St. Moritz e poniamo alla Lotus Emira una sfida ancor maggiore: il Passo del Bernina. Il gigante di ghiaccio fissa imponente e maestoso l’Emira mentre affronta sempre più rapida il fenomenale percorso disegnato da queste strade. Il vento è violento, spazza la neve in orizzontale e ne deposita parecchia in strada, condizioni che non sbilanciano troppo la Lotus. I traversi in seconda e terza sono piuttosto gestibili (il differenziale elettronico è molto progressivo), il muso continua a essere puntato e preciso e i freni potenti con un ABS non invadente; il feeling non raggiunge gli stessi livelli del commovente pedale centrale della Evora ma nel complesso è soddisfacente. Resistiamo un’oretta ai -9° del Bernina (che paiono -23° tale è la furia del vento), poi ci avviamo verso la Valcamonica tramite il passo dell’Aprica, dove le Michelin sfoggeranno un grip pulito e sempre chiaro anche su asfalto asciutto e ‘caldo’. I molteplici chilometri percorsi sono stati rivelatori su pregi (tanti) e difetti (pochi) di questa sensuale sportiva a motore centrale. La Lotus Emira si è dimostrata una delle poche auto moderne ancora dotate di anima, emozionante e stimolante come di rado capita: il piacere di guida cede qualcosina rispetto al trittico del passato, tuttavia sul piatto della bilancia viene aggiunta una comodità senza precedenti per Hethel; 1.300 km in poco più di un giorno e non sembriamo usciti da una schiaccia sassi, anzi, siamo margherite appena colte. Il godimento resta ancora elevato, e con il V6, il cambio manuale e delle Cup 2 sono convinto che il gap rispetto al passato si ridurrebbe quasi a zero. La Cayman 4.0 GTS ha una seria contendente.

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