Con René Staud l’auto diventa arte
René Staud, tedesco di Stoccarda classe ’51, è uno dei grandi della fotografia degli ultimi cinquant’anni, e in particolare di quella automobilistica, che ha contribuito a cambiare non solo grazie alla sua sensibilità artistica, ma anche a una serie di importanti innovazioni tecniche. Non a caso, per decenni ha firmato, sia nel suo studio di Stoccarda sia in esterna – dove come pochi altri è riuscito a inserire l’oggetto automobile, armonizzandolo con gusto e fantasia, nella natura -, le fotografie ufficiali di marchi prestigiosi come Porsche, Mercedes e, in tempi più recenti, anche Aston Martin. Veloce l’ha incontrato a Fuoriconcorso, in occasione di una mostra-omaggio alle sue opere.
Quando ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo della fotografia?
“Mio padre era un artista, era appena finita la guerra e di soldi in casa ce n’erano pochi. Io mi davo da fare in tutti i modi per guadagnare qualche marco: producevo dei portacenere di ceramica, lavavo le auto delle aziende, consegnavo i quotidiani. Mi piaceva fotografare un po’ di tutto, oggetti, paesaggi. Ho cominciato con una piccola fotocamera, poco più che un giocattolo. Forse avevo l’ispirazione, così si dice, no? Ho partecipato a molti concorsi per giovani fotografi organizzati dalla scuola, finché in uno di questi, organizzato dalla Kodak, ho vinto tre dei cinque premi in palio. Ma solo a 14 anni ho potuto acquistare la mia prima fotocamera reflex investendo il denaro che avevo messo da parte fino a quel momento. Un paio d’anni dopo ho creato il mio piccolo laboratorio di stampa in bianco e nero e, accanto, uno studio fotografico dove scattavo principalmente still life. Con altri guadagni comprai anche la mia prima moto, che mi ha permesso di svolgere gli altri lavori più rapidamente e potermi dedicare più a lungo al mio piccolo laboratorio fotografico. Ho anche lavorato come apprendista in uno studio di ritratti e, durante il servizio militare, ho continuare a realizzare foto di viaggi. Finché ho dato vita alla mia attuale attività professionale, più o meno a 22 anni, subentrando in seguito nella proprietà di un grande studio fotografico. È stato in quel momento, avevo 27 anni più o meno, che la mia attività ha assunto una dimensione veramente imprenditoriale, con un assistente fotografo, una segretaria, uno stagista e un artigiano per costruire tutte quelle piccole cose che occorrono in uno studio fotografico professionale”.
Cosa fotografava inizialmente in questo studio?
“Un po’ di tutto: cucine, elementi di arredo, oggetti di ceramica, orologi, scarpe, capi di abbigliamento. Giocando con la luce e i limitati mezzi tecnici che esistevano allora per aggiungere creatività alle fotografie, solitamente destinate ai cataloghi aziendali o a piccole campagne pubblicitarie locali. Ma da subito, oltre a scattare fotografie, ho cercato di relazionarmi con i vertici delle aziende, con la proprietà o con il marketing, per capire più da vicino le loro reali esigenze”.
Quando sono arrivate le automobili?
“La mia prima macchina è stata una Fiat 500 usata, poi una Mini che lavavo quasi tutti i giorni, e in seguito acquistai un’Alfa Romeo GT Junior, da restaurare. Infine è arrivata la prima Mercedes-Benz. Parlando di foto, con le auto ho iniziato a fare sul serio nel 1983, quando ho iniziato a sviluppare il Magic Flash, un sistema di illuminazione di grandi dimensioni che avrebbe consentito di fotografare in studio oggetti di grandi dimensioni, come automobili, autocarri e così via. Fino a quel momento avevo fotografato per alcuni preparatori della zona attorno a Stoccarda, come Gemballa e TechArt, ma anche AMG, ma per ambire a clienti più importanti mi serviva uno spazio più professionale e un sistema di illuminazione unico, esclusivo. Solo nell’aprile del 1986 è entrato in servizio lo studio di Leonberg, costruito appositamente per la fotografia dei veicoli e, naturalmente, attrezzato con il primo Magic Flash. Oggi è operativo sei giorni alla settimana per 12 ore al giorno! Nel frattempo, comunque, avevo già realizzato le immagini ufficiali della Porsche 959 e della Mercedes 190”.
Scatta sempre personalmente le immagini piщ importanti?
“La mia agenda è diventata presto così fitta di impegni che ho dovuto ingaggiare un team sempre più grande di collaboratori e professionisti. A un certo punto lo staff è arrivato a contare 30 persone. Il mio compito è quello di preparare la scena, scattare le immagini di prova, poi è il lavoro dello studio, inteso anche come lavoro di squadra, a fare il resto”.
Con l’arrivo della fotografia digitale com’è cambiato il lavoro?
“Dal 1992 utilizziamo Photoshop in studio, ma naturalmente è indispensabile un eccellente punto di partenza per poter modificare digitalmente le immagini. Da lì non si scappa”.
Lei и celebre per le sue immagini statiche; si è mai cimentato nelle foto dinamiche delle automobili?
“Diciamo che non è la ‘specialità della casa’. Per il mio lavoro è indispensabile il controllo totale delle luci e dell’illuminazione, una situazione che all’aperto è impossibile da realizzare. Ci sono altri fotografi che hanno provato a realizzare foto dinamiche in studio, per esempio con il Rig; l’ho sperimentato anche io ma ho notato da un lato che non consente un’adeguata profondità di campo, e dall’altro che le foto realizzate con questo sistema, peraltro costoso e poco pratico da trasportare, non sono mai entrate nella storia. Io cerco di scattare immagini di campagne di comunicazione, pubblicitaria o no, che rimangano scolpite nel tempo”.
Invece ha scattato all’aperto, per quanto solo immagini statiche…
“Sì, nel corso della mia attività per l’Aston Martin, nel primo decennio degli anni 2000, ho focalizzato il mio lavoro sullo storytelling e realizzato il progetto Aston Martin meets Art. Le loro autovetture, per lo più i nuovi modelli, ambientati in ambienti sofisticati, unici, con sfondi poco conosciuti, come in Islanda o Groenlandia. È stato un successo, ancora oggi ci si ricorda della V8 Roadster ai bordi di un lago quasi ghiacciato circondato dai campi neri di lava vulcanica. Ma la foto della stessa auto in un gigantesco parallelepipedo di ghiaccio è stata realizzata in studio! Invece la foto della Rapide presentata a Villa d’Este nel 2007 è solo un’eccezione rispetto alle mie foto in studio”.
Come cambierа la fotografia con l’arrivo dell’intelligenza artificiale?
“Bella domanda. Esiste già un ramo della fotografia che si chiama CGI, Computer Generated Imagery. Molte immagini sono già create partendo dai dati, da immagini preesistenti e dall’elaborazione grafica di Photoshop. Il mio studio, tuttavia, lavora per produrre immagini artistiche nel senso più completo del termine, per realizzare campagne pubblicitarie auspicabilmente così buone da essere ricordate anche dopo molti anni. A ogni modo, esistono oggi molti strumenti per creare fotografie, ma l’intelligenza artificiale, ora come ora, non è uno di questi. Vedremo nei prossimi anni dove porterà l’intelligenza artificiale, la seguiamo, la studiamo, ho creato con lei alcune immagini per così dire sperimentali, creando sfondi artificiali e anche un’auto che non esiste nella realtà. Ma non ci farei mai affidamento al 100%”.