Race for Glory, la recensione: un’occasione persa
Ogni volta che al cinema esce un film sul motorsport provo sentimenti contrastanti. Da un lato sono contento che si parli di un argomento che amo, dall’altro temo di rimanere deluso. I motivi li conosciamo tutti: tranne rari casi tipo Rush o Le Mans ’66 – La grande sfida, di solito i film sulle corse non sono un granché. O le scene dinamiche e di guida non sono realistiche oppure i personaggi sono rappresentati superficialmente e la storia raccontata male.
NIENTE EFFETTI SPECIALI. Quindi sono andato a vedere Race for Glory – Audi vs Lancia senza troppe aspettative ma con un po’ di speranza, poiché Ricccardo Scamarcio – non solo attore protagonista ma anche produttore – aveva dichiarato che tutte le scene sono state girate realmente senza l’utilizzo di effetti speciali. Siccome avevo ancora fresche nella memoria alcune clip di Ferrari di Michael Mann, in cui sembrava di guardare un videogame, questa dichiarazione mi aveva tranquillizzato.
IL MONDIALE 1983. Anche il cast, in effetti, non era per niente male. Dunque mi sono accomodato in poltrona e dopo circa due ore mi sono alzato, purtroppo con scarsa soddisfazione. Il primo problema di questo film è che se non conosci bene la storia del mondiale rally 1983, non riesci a capire tutto. Gli aspetti tecnici e agonistici sono appena accennati con troppa superficialità, mentre sembra che la sfida tra Audi e Lancia riguardi solo la trazione integrale. Peggio ancora, sembra che le armi a disposizione della Lancia siano solo il talento di Walter Röhrl e le “furbate” di Fiorio, tipo quella di far spargere il sale al Rally di Montecarlo.
AUDI VS LANCIA. La squadra Audi, invece, sembra la solita macchina da guerra germanica, mentre in realtà i tedeschi si erano affacciati ai rally da poco e non avevano un briciolo dell’esperienza della HF. In altre parole, anche la rivalità sportiva è raccontata in maniera parziale e superficiale, tanto che il film non entra mai nel dettaglio dei risultati oppure delle classifiche. Pure dei personaggi si capisce poco, perché non viene mai tratteggiato un background che spieghi chi sono, che cosa fanno e perché sono lì. Fiorio sembra un dittatore silenzioso ossessionato da una voglia di vincere che però non si sa da dove vanga, mentre Walter Röhrl viene dipinto come un apicoltore stanco e timoroso dei lunghi viaggi.
IL BUDGET. A questo si aggiungono personaggi completamente superflui, come la giornalista che intervista Fiorio o la nutrizionista che dovrebbe stimolare la sua coscienza. Stendiamo poi un velo pietoso su Lapo Elkann che compare in due scene nei panni di suo nonno, cioè l’Avvocato. È un vero peccato, perché invece la parte dinamica e di guida è quella che è venuta meglio e pure le vetture protagoniste sono credibili. Naturalmente con soli 8 milioni di budget non si pretendono miracoli – Le Mans ’66 – La grande sfida è costato quasi cento milioni – e quindi si capisce la prassi del campo medio nelle scene girate all’esterno (le comparse sembrano di più).
UN VERO PECCATO. Pure le auto da rally che fanno da cornice alle Audi e alle Lancia sono poche e sempre le stesse (una 911, una Golf GTI e poco altro), mentre un occhio attento può riconoscere facilmente sia il centro prove di Balocco che la vecchia pista di collaudo de La Mandria, che viene fatta passare per il Portogallo. In conclusione, è un vero peccato che non sia stata posta più attenzione sui personaggi e sulla narrazione, perché questo film sarebbe potuto diventare un classico nel suo genere e invece rimarrà un’opera trascurabile.
Scusa ma anche Le Mans 66 è una boiata pazzesca. Storia romanzata con errori grossolani, dialoghi banali, scene di corsa ridicole. Siamo ancora al “accelera più forte” in pieno rettilineo. Personaggi tagliati con l’accetta: Shelby mezzo fallito, Miles meccanico fallito del tutto, Gurney inesistente (la gara fu tra lui e Miles), Bandini Darth Vader, Ferrari col mullet dà in escandescenze, Shelby che ruba i cronometri. Insomma una schifezza di messa in scena. Rush fu su un altro livello ma nessuno dei film recenti arriva al LeMans di McQueen o a Grand Prix di Frankenheimer. Neanche dopo 50-60 anni.
Non avevo aspettative e quindi ho lasciato correre tante cose già dall’inizio, ma quando è stata chiamata “037” per il tempo segnato da Walter (dopo un improbabile 0.40 di Alen🥲) avrei voluto abbandonare la sala. Mes