Il ‘signor Mini’: l’uomo che mise la minigonna alle utilitarie
Se c’è un uomo che è nato due volte, bene: è sicuramente Sir Alec Issigonis, ‘quasi ingegnere’ inglese (si era diplomato in tecnica delle costruzioni navali al Politecnico londinese di Battersea) venuto alla luce (da padre greco e madre britannica) nella città turca di Smirne il 18 novembre del 1906. Agli occhi del mondo, e del grande pubblico, il suo vero atto di nascita risale però a 60 anni fa: al 26 agosto 1959. Quel giorno, infatti, debuttò la macchina che lo avrebbe reso celebre: la Mini, prodotta dal gruppo industriale BMC (British Motors Corporation) per entrambi i marchi che facevano capo alla holding, Austin e Morris.
NUOVA (MINI) ERA. Una vettura semplicemente rivoluzionaria: motore (848 cc per 34 cv e 120 km/h) anteriore a quattro cilindri disposto trasversalmente, trazione davanti, un abitacolo capace di ospitare comodamente quattro persone in soli 303 cm di lunghezza, agilità e stabilità fino ad allora sconosciute a modelli di quella categoria. Giusto per avere un’idea: in quello stesso anno, in casa Fiat il modello di riferimento era la 600; motore e trazione posteriori, 321 mm di lunghezza, guidabilità e frenata, al confronto, semplicemente aleatorie. La Mini, insomma, avrebbe segnato un’epoca, che a ben vedere dura tuttora: alcune delle sue caratteristiche di base (la compattezza del corpo vettura, la guidabilità snella e precisa, persino – con tutte le logiche evoluzioni – lo styling complessivo) sono riscontrabili anche nelle Mini One di oggi, prodotte dalla Bmw.
DAGLI ‘AUTOMATICI’ ALLE CORSE. Alec Issigonis, insomma, è conosciuto soprattutto come il ‘signor Mini’ (anche se lui ha sempre minimizzato, dichiarando di non avere creato quella vettura, ma di averla semplicemente disegnata). Nonostante una carriera ben più variegata e importante, fondata su una passione per la meccanica dalle radici lontane, che lo porta già nel 1928 a iniziare a lavorare come disegnatore in una piccola azienda per occuparsi, come prima cosa, della realizzazione di un’innovativa trasmissione automatica. Un progetto riuscito, che gli permette di passare di lì a poco a una vera casa automobilistica (la Humber) e, successivamente (nel 1936), alla Morris. Issigonis è uno che proprio non riesce a tenere il cervello fermo. Così, già nel 1939 progetta e realizza una piccola vettura da corsa con motore sovralimentato, che si distinguerà in numerose gare club nelle mani di gentleman drivers inglesi. E nel 1944, con molta lungimiranza, comincia a mettere su carta le prime idee per un’innovativa macchina di piccola cilindrata.
PROVE GENERALI, TEMPO DI MINOR. Per vedere la nascita della sua Mini, come sappiamo, dovrà attendere ancora 15 anni. Nel 1948, tuttavia, le sue idee trovano corpo nella prima ‘piccola’ di grande successo di casa Morris: la Minor, lanciata al Salone di Londra il 20 settembre di quell’anno. Una vettura ancora d’impostazione ancora molto tradizionale (motore longitudinale anteriore a quattro cilindri di 918 cc, distribuzione a valvole laterali, 27,5 cv per 103 km/h, trazione rigorosamente posteriore), eppure destinata a trasformarsi nella prima icona a quattro ruote del Made in England: quasi 1 milione e 400.000 esemplari prodotti (in serie successive, via via aggiornate nella meccanica e nell’estetica) fino al 1970. In Italia poco diffusa, ma un must irrinunciabile, almeno fino alla metà degli anni 60 del secolo scorso, come regalo di laurea per lo studente universitario della Milano-bene o (specie nella versione wagon a due porte Traveller, con centine esterne in legno nella parte posteriore della carrozzeria) come ‘navetta’ chic ma poco impegnativa per giovani coppie di buone disponibilità economiche.
QUI SI PASSA ALLA STORIA. A quel punto, la via alla creazione della Mini è aperta. Dopo una breve parentesi di lavoro alla Alvis, aperta poco dopo la fusione della Morris con la Austin e la conseguente creazione del gruppo BMC (1952), e chiusa dopo il progetto di una grande e potente berlina con motore V8 mai entrata in produzione, Issigonis rientra alla base, si rimbocca le maniche e torna al tavolo di progetto. Il frutto del suo lavoro, la Mini, passerà alla storia: industriale, del costume e dello sport (indimenticabili le tre vittorie al Rally di Montecarlo, nel 1964, ’65 e ’67). Lui, invece, rimarrà sempre un po’ in disparte, pur creando per lo stesso gruppo automobilistico altri modelli (le Austin-Morris 1100, con le innovative sospensioni Hydrolastic a elementi idraulici in sostituzione dei tradizionali ammortizzatori, 1800 e Maxi). E nonostante l’ottenimento di alcuni tra i più prestigiosi riconoscimenti a cui un cittadino di Sua Maestà britannica possa ambire: l’ingresso, nel 1967, tra i componenti Royal Society (l’accademia che, dal 1660, riunisce le massime autorità nel mondo scientifico: ne fanno parte nomi del calibro di Alessandro Volta, Albert Einstein e Rita Levi Montalcini); la nomina a MBE (Member of the Order of the British Empire), una sorta di cavalierato attribuito per meriti acquisiti a persone che abbiano illustrato la Gran Bretagna nel mondo (un titolo di cui si sono fregiati, per esempio, anche grande piloti come John Surtees); l’ottenimento del titolo di Sir, in quanto nominato Knight Bachelor dalla regina Elisabetta nel 1969. A frenare la sua attività interviene, a partire dal 1971, il morbo di Parkinson, che lo obbliga al riposo pur senza impedirgli di proseguire in veste di consulente il suo rapporto con la BMC (e con le successive evoluzioni societarie del gruppo) fino alla morte, avvenuta il 2 ottobre 1988. Un ulteriore riconoscimento gli verrà però ancora attribuito qualche anno dopo: il suo nome entrerà a far parte, nel 2003, della Automotive Hall of Fame.