Pure e leggere: breve storia delle Porsche 911 T
UNA LUNGA TRADIZIONE. È lungo oltre mezzo secolo il filo invisibile che tiene unite l’ultimissima Porsche 911 Carrera T e la sue legittime antenate. Per risalire alle origini della più pura e leggera delle 911 di “normale” produzione (tralasciamo quindi i modelli da corsa) bisogna tornare indietro al 1967, quando, contestualmente all’ampliamento della gamma verso l’alto, con l’aggiunta della versione S da 160 CV, la casa di Zuffenhausen decide di offrire una variante “addolcita” del suo modello di punta, disponibile sia con carrozzeria coupé che Targa. Non si tratta di un’operazione completamente nuova dal punto di vista filosofico: in precedenza, infatti, qualcosa di molto simile era avvenuto con l’ultima edizione della 356, il cui motore 1600 “Dame” da 60 CV era stato depotenziato di una quindicina di cavalli rispetto a quello della Super.
“ENTRY-LEVEL” SI FA PER DIRE. La prima Porsche 911 T, dove la lettera “T” sta per Touring, a sottolineare una vocazione da gran turismo, è equipaggiata con lo stesso motore da due litri di cilindrata della normale 911. Pur disponendo di una potenza inferiore – 110 CV contro i 130 CV della L, i 140 della E e i 160 della S – il sei cilindri boxer raffreddato ad aria può contare su un’erogazione più fluida, offrendo anche consumi di carburante inferiori e, quindi, una maggior economia d’esercizio nella guida di tutti i giorni. Ma un motore meno potente significa un risparmio anche in sede di fabbricazione. Qualche esempio? Le minori sollecitazioni consentono ai progettisti di rimpiazzare i costosi cilindri Biral ad alette fuse in lega leggera, con più economici componenti in ghisa. Allo stesso modo è possibile rinunciare al raffinato albero motore contrappesato ed equilibrato, sostituito con un equivalente meno costoso da realizzare e inoltre più leggero di 6 kg. Il cambio è a quattro marce anziché a cinque ma rimangono al loro posto le testate con valvole maggiorate e i carburatori Weber della 911 S: caratteristiche che, unite a un peso minore rispetto agli altri modelli della gamma, in virtù di un allestimento interno più “spartano”, fanno della T una versione particolarmente adatta a una preparazione per l’impiego sportivo. Tanto è vero che una 911 T vince addirittura il Rally di Montecarlo del 1968.
SEMPRE DOLCE, MA PIÙ POTENTE. La tradizione di articolare la gamma 911 in più versioni prosegue nel 1969, quando debuttano i motori da 2,2 litri. È sufficiente un aumento dell’alesaggio da 80 a 84 mm per conferire al nuovo sei cilindri un comportamento più fluido ed elastico. Una caratteristica, quest’ultima, più che mai evidente nella rinnovata 911 T, che mantiene l’alimentazione a carburatori e, grazie anche ad alcune modifiche alle valvole, alle bielle, ai pistoni e ai collettori, raggiunge una potenza di 125 CV (contro i 155 della E 2.2 e i 180 della S 2.2), comunque sufficienti a spingerla oltre la soglia dei 200 km/h. Il cambio diventa a 5 marce e il peso cala di una sessantina di chili, con l’ago della bilancia fermo a quota 1020 kg nonostante il nuovo processo di zincatura della scocca comporti un aggravio di 10 kg.
PER 5 CV IN PIÙ… Guadagna altri 5 CV il nuovo propulsore di 2,4 litri di cilindrata della 911 T presentata nel 1971 nell’ambito della nuova gamma, composta anche dalla E 2.4 da 165 CV e dalla S 2.4 da 190 CV. L’aumento di potenza non è granché, ma è comunque sufficiente a far emergere il maggiore dei difetti di gioventù della 911, ovvero l’alleggerimento del muso alle alte velocità, un “inconveniente” tipico delle vetture ad alte prestazioni con il motore posteriore a sbalzo. Per attenuare questa tendenza, i progettisti cominciano col modificare la taratura delle sospensioni e spostano all’altezza del parafango anteriore destro il serbatoio dell’olio, migliorando la distribuzione dei pesi ma finendo col creare confusione in sede di rifornimento (molti benzinai, confondono lo sportellino dell’olio con quello della benzina, che si trova sempre davanti, ma dal lato guidatore). La soluzione definitiva per dare un equilibrio dinamico alla 911 T, tuttavia, arriva dalla galleria del vento: con l’aggiunta di un piccolo spoiler, inizialmente previsto solo per la versione S da 190 CV, e successivamente esteso al resto della gamma, il nuovo profilo sotto il paraurti anteriore aiuta a tenere le ruote davanti più aderenti al terreno anche nella guida al limite.
RITORNO ALLE ORIGINI NEL 2017. Ispirata ai concetti fondamentali che c’erano alla base dei modelli classici, la Porsche 911 Carrera T del 2017 li ripropone in chiave moderna nel pieno rispetto di una tradizione ormai cinquantennale. Il motore sei cilindri boxer 3.0 biturbo da 370 CV, lo stesso che equipaggia la normale Carrera, fa il paio con un assetto sportivo ribassato di 20 mm, un cambio manuale a sette marce con i rapporti accorciati e un differenziale autobloccante. Per risparmiare chili preziosi spariscono gli strapuntini posteriori e le maniglie interne, sostituite da un semplice laccetto, mentre viene rimosso gran parte del materiale fonoassorbente: un vantaggio in termini di peso, ma anche di sound, visto che le note metalliche del flat-six invadono con maggior intensità l’abitacolo. La stessa, vincente ricetta, basata su un desiderio di tornare alle origini del più puro piacere di guida, ha dato vita all’ultima rappresentante della stirpe delle 911 T, fresca di lancio e già oggetto del desiderio per tutti quegli appassionati che dell’auto sportiva ricercano l’essenza più profonda.