Il suo nome era… Cerruti Nino
Nel 1957 succede qualcosa. L’Italia ormai s’è desta da un po’, i piccoli baby boomer crescono e lo stivale si è trasformato in un ‘place to be’: il posto dove andare. Perché il Bel Paese era diventato destinazione di riferimento, vacanza dei sogni, oltre che immaginario collettivo di mode e modi. Tendenze e stili. E così, in quest’ultimo anno di Mille Miglia, perché sì, nel ’57 cala la bandiera a scacchi sulla corsa più bella del mondo, a cambiare non è solo il paradigma dell’auto. Ma anche del lusso che contraddistingue da sempre le sportive nostrane. Per questo motivo dal lusso per sport si passa a un vero e proprio sport del lusso. Ecco che le Aurelia diventano Flaminia e la gente, tanta gente, scopre di essere assetata di star bene e di trattarsi ancora meglio. Ma senza dover aspettare i tempi del su misura, delle personalizzazione. I comodi di carrozzieri e sarti, architetti e stilisti. Perché adesso, a fine Anni ’50, l’industria ormai è pronta a fare il gran salto e agi e comodità, un tempo cose rare e eccezionali, possono finalmente diventare uno standard. Prodotto in serie. Anche nella moda. E qui entra in ballo il Cerruti, Cerruti Nino appunto. Che anche se non lo chiamavan mago, lui, stregone dei filati lo era lo stesso. Designer cresciuto a pane e telai, il biellese rampollo di una dinastia di maître à tisser, si scopre imprenditore. E proprio in questo fatidico 1957, alle porte di Milano, fonda la sua Hitman. Più che un’azienda di capi per l’uomo contemporaneo, una rivoluzione culturale per quella borghesia in ascesa, ancora a caccia di una propria identità.
DA BIELLA A HOLLYWOOD, PASSANDO PER PARIGI. In quegli anni la moda parla ancora francese, si chiama haute couture e sfila solo a Parigi. Lo sanno tutti, anche Nino. Per questo decide di sfilare lassù anche lui, ma con capi disegnati e prodotti in Italia (ma la Cerruti 1881 nascerà a Parigi, nel 1967). Il segreto del suo (futuro) successo è quella qualità che diventa il marchio di fabbrica della maison con radici biellesi. E di tutto il made in Italy che sta conquistando il mondo. Anche grazie ai suoi bolidi da esportazione. L’idea di Cerruti è rivoluzionaria, come tutte le idee geniali, e conquista anche la concorrenza: a partire da un’icona d’Oltralpe come Jean-Paul Belmondo. Insomma, un bel giorno il mondo si sveglia pronto per il prêt-à-porter maschile: capi di qualità per tutti (o quasi). E l’America ringrazia, perché il consumismo aveva fame di lusso ready-to-wear, bell’e pronto, e Cerruti sforna capi pensati proprio per chi non ha tempo di aspettare. Il successo è planetario, il timing, perfetto. La Cerruti 1881 ha tutto il tempo di crescere e di farsi trovare pronta quando, anche a Hollywood, si accorgono che le stelle della vecchia guardia ormai sono cadenti e c’è bisogno di rinnovare il parco idoli da maxi schermo. È così che Cerruti ‘confeziona’ l’immagine del cinema più iconico degli anni ’90: Richard Gere (Pretty Woman, 1990), Michael Douglas (Basic Instinct, 1992), Tom Hanks (Philadelphia, 1993), Marcello Mastroianni (Prêt-à-Porter, 1994) e Harrison Ford (Air Force One, 1997). Ma lo stilista non è uno che punta solo sui cavalli vincenti, a parte quella volta che decide di vincere facile e veste la Scuderia più famosa del mondo: quella della Ferrari (1994). Nino Cerruti è stato anche uno scopritore di talenti. Com’è successo con quel Giorgio, il giovane designer piacentino che, attirato dalla forza innovatrice di Nino e del suo ‘uomo tutto da reinventare’, va a lavorare per lui. E poi si scopre Armani.