Ferrari Daytona SP3, rivive il mito delle Sport Prototipo
Chissà che effetto inebriante, che scarica d’adrenalina doveva dare, infilarsi nell’abitacolo di una Ferrari Sport Prototipo degli Anni ’60 e affondare il pedale dell’acceleratore fino a raggiungere la velocità massima. Non si sa se si sentiranno un po’ Bandini, un po’ Scarfiotti, i 599 futuri proprietari dell’ultima supercar firmata Ferrari, la Daytona SP3, che costa due milioni di euro iva inclusa, ma tra le sue lamiere sinuose e potenti custodisce un valore più prezioso di ogni fortuna economica, quello della leggenda. Perché leggenda sono le imprese che il cavallino rampante, con piloti e bolidi straordinari, ha scritto nell’epoca d’oro delle corse motoristiche a ruote coperte. Proprio a quei tempi gloriosi, ma senza ricercare a tutti i costi quell’effetto nostalgia che spesso aleggia intorno a operazioni di questo genere, si rifà la nuovissima supercar di Maranello, presentata questa mattina all’autodromo del Mugello. Non si sa, dicevamo, se coloro che avranno la fortuna di guidarla riusciranno a calarsi nei panni dei vecchi eroi del volante, ma non c’è dubbio sul fatto che alla loro collezione aggiungeranno un pezzo per cui, un giorno, i musei più prestigiosi faranno a gara.
IL V12 È SOLO A BENZINA. L’epopea delle più celebri e vincenti Ferrari Sport degli Anni ’60 e ’70 – dalle 330 P3 e P4, alla 312 P, dalle 512 S e M alla 350 Can Am -, però, per fortuna degli appassionati tutti rivivrà innanzitutto a ruote in movimento. E ad altissima velocità, visto che giusto al centro della Daytona SP3 gli ingegneri della Ferrari hanno calato il plus non ultra dell’attuale produzione motoristica endotermica della casa. Il V12 maranelliano da sei litri e mezzo di cilindrata ha detto no all’elettrico e perciò i suoi 840 cavalli, che si scatenano a 9500 giri, si nutrono esclusivamente di benzina. In cambio, com’era lecito attendersi, promettono prestazioni per piloti veri. E se i 2,85 secondi per passare da 0 a 100 km/h, oggi che le supercar da 1000 e rotti cavalli quasi non fanno neanche più notizia, potrebbero anche non impressionare, i 7,4 che invece servono per infrangere il muro dei 200 all’ora con partenza da fermo sono un indicatore inequivocabile del potenziale sconfinato che si ha a portata di piede destro.
ALLA RICERCA DELLA PUREZZA. Di numeri se ne potrebbero sciorinare molti altri, scorrendo la scheda tecnica, ma il punto, il succo, è un altro. E cioè che la Daytona SP3, pur nei limiti che sempre impone la progettazione di un’auto che dev’essere prima d’ogni altra cosa veloce ed efficacissima, è nata libera da particolari condizionamenti. In Ferrari tengono a rimarcare come la nuova supercar sia prima di tutto figlia diretta di un concetto di bellezza ben preciso, indissolubilmente legato alla purezza delle forme. Ecco spiegata la totale assenza di componenti di aerodinamica attiva, che a fronte di un perfetto effetto suolo avrebbero con ogni probabilità finito per sovraccaricare, snaturandole, le forme plastiche e scultoree uscite dalle matite del centro stile diretto da Flavio Manzoni.
FLUSSI D’ARIA DAL PASSATO. Gli stilisti hanno insistito, senza mai esasperarli (semmai tentando la via più creativa per proiettarli nei nostri tempi), sulle soluzioni che hanno reso vincenti le antenate da corsa degli Anni ’60. Pescando tra gli spunti più innovativi di quei bolidi – il cui spirito, volendo semplificare un po’, è condensato soprattutto nella leggendaria 330 P4 (sì, quella della sfida, persa, con la Ford GT40 alla 24 Ore di Le Mans del 1966) – sono nate praticamente tutte le prese d’aria: dai camini sulle spalle posteriori alle grandi incavature sulle portiere, fino alle aperture sul musetto fendente e in coda, dove un fittissimo set di lamelle provvede a dissipare il calore generato dal motore. Dei 599 clienti che hanno già scritto il loro nome nel libro degli ordini, rendendo la Ferrari Daytona SP3 sold out ancor prima di essere entrata in produzione, 499 in garage hanno già una Ferrari Monza. Che effetto ha fatto l’ultima meraviglia rossa sui collezionisti che hanno avuto modo di vederla prima di tutti gli altri? “Speachless” (Senza parole, in inglese) – dicono gli uomini del cavallino – è stato il commento più ricorrente. Senza parole, già. Del resto, di fronte a certi miti, il silenzio è più eloquente di qualsiasi parlare.