Alfa Romeo, festa grande per i 50 anni dell’Alfasud
Taglia il traguardo del suo primo mezzo secolo di vita, con la sua linea snella e sbarazzina e il rombo accattivante del suo leggendario motore boxer, l’Alfa Romeo più amata e controversa di tutte. Il progetto dell’Alfasud, in realtà, era partito in un clima di fervente entusiasmo, tra mille incognite, rischi e possibilità, tra la fine dell’estate 1967 e l’inverno del 1968. Si trattava di una ciclopica e affascinante triangolazione industriale: coinvolgeva Milano (dove il marchio del Biscione aveva deciso di aumentare produzione, affiancando alle sportive più costose un modello popolare a trazione anteriore), Pomigliano d’Arco (storico polo industriale dell’Alfa e sede della nuova fabbrica alle pendici del Vesuvio da cui sarebbe uscita l’auto) e Moncalieri, alle porte di Torino (dove la neonata Italdesign di Giugiaro e Mantovani, come primo incarico, si sarebbe occupata del design). E proprio a Torino, nello storico padiglione Giovanni Agnelli del quartiere fieristico di Torino Esposizioni, a cinquant’anni esatti dal debutto, l’Alfasud è tornata grande protagonista. È un revival che riaccende i riflettori su un progetto geniale, innovativo, e intriso di coraggio e passione. La stessa che si legge negli sguardi degli equipaggi, una trentina, giunti da tutta l’Italia e da diversi Paesi europei per festeggiare la loro beniamina nella ‘due giorni‘ itinerante che l’Alfasud Club Italia ha organizzato sull’asse Torino-Arese.
ALLE ORIGINI DEL MITO CON GIUGIARO. L’emozione, osservando il puzzle di colori creato dalle Alfasud disposte ordinatamente al centro del salone, è troppa, e sul viso del presidente del sodalizio, Luigi Cecconi, scorrono lacrime di gioia quando Giorgetto Giugiaro lo raggiunge accanto alla sua bella Alfasud, verde Ischia proprio come quella svelata cinquant’anni fa, e al primo modello di stile in scala naturale, custodito negli archivi dell’Italdesign insieme ad altre maquette in miniatura e a numerosi bozzetti, disegni tecnici e figurini a colori. “Per capire meglio l’effetto dei giochi di luce e dei riflessi sulla carrozzeria, il primo prototipo lo verniciammo di grigio argento, come una statua”, spiega con la sua inconfondibile voce sottile ed elegante Giugiaro. Il maestro, nominato ‘Car Designer del Secolo’ a Las Vegas nel 1999, racconta l’avventura dell’Alfasud aprendo il suo personale album di ricordi dalla prima pagina: “Tutto cominciò seduti a un tavolino di un bar di periferia di Torino, io, Mantovani e Rudolf Hruska, l’allora direttore generale dell’Alfa Romeo. Tirò fuori un quadernetto a quadretti e da bravissimo ingegnere qual era schematizzò il capitolato tecnico della vettura: motore, assi delle ruote, pedaliera e tutto il resto, fornendo nel dettaglio tutte le misure. Nella sua mente, la macchina esisteva già”.
UN PROGETTO MOLTO AMBIZIOSO. Della grande fabbrica che avrebbe dovuto costruire la nuova Alfa Romeo a Pomigliano d’Arco nell’ambito di un grande progetto per re-industrializzare l’area del Napoletano e modernizzare il Sud, però, non c’era nemmeno un mattone. “Hruska ci spiegò che era ancora tutto da fare, ma di non preoccuparci. Cominciò a farci regolarmente visita a Moncalieri. Veniva tutti i venerdì, con richieste sempre più precise e stringenti”, prosegue Giugiaro. La sfida più difficile? “Raggiungere uno standard di abitabilità e comfort da vettura di categoria superiore. Un bel giorno – ricorda tra un aneddoto e l’altro il designer piemontese – ci disse che nel bagagliaio ci sarebbero dovute stare senza problemi quattro valigie 450x210x700 millimetri. Girammo tutta Torino e tutta Milano alla ricerca di bauli di quelle dimensioni, ma non le aveva nessun negozio. Ancora oggi mi chiedo come fece a trovarle…”. Che la macchina sia straordinariamente spaziosa e capiente lo si nota osservando la 1.5 TI del 1978 color giallo Pompei carica all’inverosimile dell’appassionato olandese Ronald Aarts, giunto a Torino da Helmond insieme alla moglie giapponese Miho e a Minato, il loro simpaticissimo bimbo di tre anni e mezzo. “Mi sono innamorato dell’Alfasud nel 1983 – racconta -. Avevo otto anni e il mio maestro di scuola guidava una TI prima serie: rimasi folgorato dal design e dal suono del motore, unico e inimitabile”.
NELLA TANA DEL BISCIONE. Ritroviamo Ronald insieme a molti altri equipaggi italiani, francesi, inglesi, tedeschi, svizzeri e olandesi il giorno successivo. L’appuntamento è al Museo Storico Alfa Romeo di Arese, tappa finale del raduno internazionale per i cinquant’anni dell’Alfasud. Nel tempio del Biscione, tra le vetture esposte nelle sale e quelle, da molti mai viste prima, custodite nei depositi della collezione insieme a 400 motori, 1000 modellini e tante altre meraviglie, i 111 anni di storia dell’Alfa scorrono veloci ed emozionanti come le auto leggendarie che li hanno scanditi. Nel pomeriggio, dopo un’allegra e coloratissima parata sul pistino che si affaccia sull’Autostrada dei Laghi, una conferenza d’approfondimento tenuta dal curatore del museo, Lorenzo Ardizio, e dal giornalista Danilo Moriero, in videocollegamento via Zoom, scoperchia quell’enorme e complicato contenitore politico, sociale e industriale che è l’Alfasud di Pomigliano d’Arco: il sogno d’espansione industriale dell’Alfa Romeo; gli sforzi e gli errori della politica nel tentativo di risollevare l’economia depressa del Mezzogiorno attraverso il sistema delle partecipazioni statali, di cui l’Alfa all’epoca faceva parte; l’impatto negativo dei conflitti operai sulla qualità di un prodotto tecnicamente eccellente, ma afflitto, nella prima parte del suo ciclo vitale, da gravi problemi di corrosione, risolti quand’ormai la sua reputazione era in gran parte compromessa.
UNA PASSIONE SENZA CONFINI. Eppure, di ruggine non ce n’è nemmeno un filo sulla scocca della 1.2 a cinque marce che Erik e Herma Huisman hanno acquistato in Italia e da 19 anni custodiscono gelosamente “in un garage molto asciutto” in Olanda, dove gli inverni sono freddi e nevosi e le strade piene di sale. L’eventuale ossidazione delle lamiere, comunque, non ha mai spaventato né scandalizzato i collezionisti stranieri, che, ci spiega il presidente Cecconi, “hanno capito molto prima di noi italiani l’alto contenuto innovativo dell’Alfasud e non hanno mai sperimentato quei vecchi pregiudizi legati a un Sud inefficiente che nel nostro paese solo da qualche anno, e con grande difficoltà, siamo riusciti a sradicare”. Va matto per la sua rossa Alfasud Andi Bray, l’unico partecipante proveniente dal Regno Unito che, insieme alla moglie, si è divorato più di 1460 chilometri per unirsi alla grande festa. Dalla sua Alfa non riuscirebbe mai a separarsi nemmeno Sandro Piercamilli, nato in Germania ma di origini marchigiane e giunto in Italia da Ravensburg sulla sua Super con figli e consorte al seguito. Il progettista d’aerei Graham Reid, inglese di nascita ma tedesco d’adozione, per raggiungere l’Italia si è affidato alla potenza della sua blu Alfa Romeo 33 TI con motore 1.5, ma è orgoglioso proprietario di ben tre Alfasud: una rarissima Gleach tedesca, una Lusso con appena 9mila chilometri e una Quadrifoglio Verde. Da Verona sono arrivati Claudio Franzini e il figlio Vittorio: la loro 1.3 Super Confort ha quasi quaranta primavere e 300mila chilometri sulle spalle, ma il motore parte al primo giro di chiave e gira come un orologio. Poco prima che il sole scompaia dietro l’orizzonte, Ronald, tra gli ultimi a lasciare il museo, ci consegna le chiavi della sua Alfasud TI per un giro di pista. Il tempo di aprire lo sportello e il piccolo Minato è già sgattaiolato sul sedile del passeggero. Mentre il motore, ancora freddo, un cavallo dopo l’altro, comincia a sciogliersi un po’, sorride con gli occhi: non ha quattro anni ancora, ma ha già capito cosa significa l’Alfa Romeo. (Foto: Mauro Ujetto e Museo Storico Alfa Romeo)
Il presidente dell’Alfasud Club Italia, Luigi Cecconi, insieme a Giorgetto Giugiaro
bellissimo articolo…molto emozionate.