McLaren, il miracolo della divisione Automotive
Belle da togliere il fiato, leggerissime e raffinate. Ma soprattutto veloci, velocissime. Bruce McLaren – chi l’ha conosciuto di persona è pronto a giurarlo – le amerebbe alla follia e ne sarebbe profondamente orgoglioso. E pensare che, per un crudele scherzo del destino, il celebre pilota e costruttore nato ad Auckland nel 1937 non vide nascere la sua prima automobile stradale per un soffio: morì nel 1970 a 32 anni, in un incidente alla guida di una delle sue amate Can-Am da corsa, proprio quando la M6GT era ormai pronta per solcare le strade di tutti i giorni.
I PRIMI PASSI. Per rivedere una McLaren con la targa ci volle una ventina d’anni abbondante, ma la spettacolare F1 di Gordon Murray, creatura di rara finezza ingegneristica, esaurì il proprio ciclo vitale in poco più d’un lustro con appena 106 auto vendute, anche per colpa della ‘crisi delle supercar’ esplosa negli Anni ’90. I numeri del reparto automobilistico della scuderia britannica, che all’epoca si chiamava McLaren Cars ed era guidato da Ron Dennis, lievitarono nel primo decennio del nuovo millennio grazie alla Mercedes-Benz SLR, che pur avendo la stella a tre punte incastonata al centro della calandra usciva dagli stessi reparti in cui gli ingegneri della casa di Woking progettavano e costruivano le monoposto di Formula 1 del team McLaren. Un’automobile straordinaria, prodotta fino al 2008 in oltre 2mila esemplari, ma non abbastanza da far gridare al miracolo.
NEL MIRINO LA FERRARI. Tutto cambia, come per magia, nel 2011. La MP4-12C scoccata dalla neonata McLaren Automotive è un fulmine a ciel sereno, soprattutto dalle parti di Maranello, dove gli uomini della Ferrari si trovano improvvisamente a dover fare i conti con una supercar in grado, al netto di qualche difetto elettronico di gioventù, di mettere seriamente in discussione la superveloce e ipertecnologica 458 Italia. È l’inizio di un’avventura esaltante e costantemente in crescendo: nei sei anni successivi la McLaren lancia nove nuovi modelli e nel 2018, con il varo del programma Track 22, ne promette altri 12 entro il 2022. La produzione, intanto, cresce di otto volte, sfiorando le 4mila auto all’anno: un’impresa eccezionale per una piccola fabbrica di supercar che, appianati i debiti, comincia addirittura a fare profitti. Ma qual è, e dove sta, il segreto di un’ascesa così rapida? Alan Foster, il direttore del McLaren Production Centre, lo spiega a chiare lettere nella biografia del suo profilo LinkedIn: “Cultura della collaborazione, passione per le sfide difficili, spirito di squadra”. Tradotto: la divisione automobilistica della McLaren pensa e agisce come il team impegnato nel Campionato del mondo di Formula 1.
GLI INGREDIENTI DEL SUCCESSO. E proprio dall’esperienza nel Circus derivano le eccezionali doti tecniche delle McLaren stradali, che da dieci anni a questa parte hanno riscritto per un buon pezzo il manuale della supercar ideale. La ricetta, in realtà, è abbastanza semplice, ma metterla in pratica è tutto un altro paio di maniche. Tuttavia, chi lavora alla McLaren – che si tratti di un operaio addetto alla verniciatura o di un progettista strutturale non fa alcuna differenza – sa esattamente cosa dover fare ogni giorno per raggiungere l’eccellenza. È di nuovo Foster, questa volta nel corso di un’intervista esclusiva rilasciata nell’estate di tre anni fa ad Autocar, a svelare gli ingredienti principali di un successo così clamoroso: “Usiamo la fibra di carbonio come in Formula 1 e manteniamo il controllo totale della progettazione e dell’assemblaggio”. E poco importa se i motori vengono assemblati fuori dalle mura della fabbrica, perché “produrli non è così complicato, la cosa difficile è progettarli”.
BELLE DA FAR SOGNARE. Per militare tra le fila della McLaren occorre talento, inventiva, ma anche tanta velocità di pensiero e d’azione. Non stupisce apprendere che le selezioni dei candidati, specie per i ruoli più delicati, possano richiedere anche sei mesi. Solo così, d’altronde, possono nascere automobili come la P1 del 2013, erede elettrificata della F1 degli anni 90 e bestia nera per mostri sacri come la Ferrari LaFerrari e la Porsche 918 Spyder, o la GT del 2019, primo, straordinario approccio della casa al mondo delle gran turismo. La galassia, però, brilla della luce di altre stelle che sfrecciano a più di 300 km/h: rispondono ai nomi di 650S, 570S, 720S, 765 LT, Senna e Artura. E altri astri, forse ancor più luminosi, chissà, sono pronti a incasellarsi in questo universo così magico e lontano che ci fa sognare.