Lamborghini Countach: cosa è cambiato in mezzo secolo?
Perbacco, la Lamborghini ha rifatto la Countach! La notizia, ormai, è sulla bocca di tutti gli appassionati: anticipata cinque giorni fa da un brevissimo post sulla pagina Instagram della casa del toro, la nuova supercar, omaggio all’icona degli Anni ’70, è stata svelata l’altro ieri negli Stati Uniti: livrea bianco siderale con una punta di blu perlato e interni rossi, come la LP 400 S personale di Ferruccio Lamborghini. L’operazione revival, per il marchio di Sant’Agata Bolognese, tocca le corde dell’emozione. E si preannuncia un affare colossale: ne verranno costruite 112 (come la sigla di progetto del prototipo del 1971), sfruttando il telaio e il gruppo motopropulsore ibrido della Sian, con un prezzo di listino di oltre due milioni di euro (più tasse). Per dare una rapida idea delle cifre in gioco, sul mercato delle auto da collezione una Countach d’epoca costa, in media, meno di un quarto.
QUESTIONE DI DNA. Mezzo secolo fa, l’effetto Wow fu garantito da uno dei sogni più visionari di Marcello Gandini, che riuscì a esprimere la sua personale idea di modernità in un’immagine così forte e dirompente da ispirare tutte le Lamborghini delle future generazioni. E oggi? Per capirlo, è utile provare a sequenziare il codice genetico del modello originale: la Countach degli Anni ’70 è davvero la parente più prossima al modello del 2021? Meccanicamente parlando, la risposta è ovviamente no: sotto la pelle metallica, come accennato sopra, si nasconde il layout della Sian, che a sua volta è basata sull’autotelaio della Aventador. La cifra innovativa, dunque, non è paragonabile a quella dell’antenata, il cui telaio a traliccio progettato da Paolo Stanzani rappresentò un salto quantico rispetto alla Miura, nata solo cinque anni prima, nel 1966. Discorso diverso può essere fatto per il design: quanto c’è, nella nuova Countach LPI 800-4, della potenza visionaria della progenitrice? E soprattutto: riuscirà il nuovo modello a imporsi come un simbolo delle moderne supercar e a influenzare il pensiero e il gusto delle future generazioni?
UN’EREDITÀ PESANTE. Alla seconda domanda risponderà – come sempre accade, d’altronde, in casi come questo – il tempo. Il primo quesito, semplicemente mettendo a confronto la vecchia Countach con la nuova, può invece suggerire un ventaglio di opinioni diverse che non dovrebbero però in alcun modo essere influenzate dal gusto personale. E per un motivo piuttosto ovvio: alla base della Countach del terzo millennio, da giudicare non c’è un’idea nuova, bensì il desiderio di una casa automobilistica di voler omaggiare un oggetto dal fortissimo potere iconografico che già esiste. Ora, il desiderio è stato esaudito, ma con quale risultato? La premessa, doverosa, è che l’inevitabile paragone con la Countach gandiniana carica la nuova Lamborghini di attese e promesse che pesano come un macigno. La maggior parte dei fortunati futuri 112 proprietari che aggiungeranno la LPI 800-4 alla loro collezione probabilmente non ci farà caso, ma l’occhio degli addetti ai lavori – per quel che conta – non potrà fare a meno di passare ai raggi X ogni singolo centimetro di carrozzeria e valutare cosa e come è cambiato a distanza di cinquant’anni.
ISPIRAZIONI INSIDIOSE. Gli spunti dal passato non si contano e sono particolarmente evidenti nella ricerca, quasi ostinata, di reiterare il più possibile la forma esagonale che caratterizza alcuni degli stilemi più riconoscibili del modello degli Anni ’70. A cominciare dal parabrezza, i cui sei lati assumono proporzioni praticamente identiche alla Countach delle origini, se non fosse per il raccordo, molto più dolce, tra i montanti e il tetto. A proposito di tetto: il ‘periscopio’ che molto contribuì a creare l’effetto Ufo del prototipo del 1971 diventa una lunga striscia di vetro fotocromatica, un dettaglio più Sian che Countach ma comunque coerente con la geometria della grigliatura vetrata che protegge il V12 ibrido da 800 cv. Se l’andamento spiovente del muso, e in generale la silhouette, ricrea con efficacia il profilo a cuneo della vecchia Countach, i passaruota legano meno bene con il passato. Soprattutto quelli anteriori, che sul primissimo modello erano addirittura circolari e la cui forma esagonale, sulla versione 2021, è persino più marcata rispetto a quelli posteriori, dove paradossalmente il richiamo al caratteristico ‘taglio’ di Gandini è solo accennato.
UN REGALO INATTESO. Le branchie nella parte alta della fiancata, anch’esse omaggio al prototipo del 1971, affascinano, anche se evidenziano una muscolatura decisamente più potente, che finisce col ‘tradire’ la parentela con il corpo vettura della Sian e della Aventador. Un po’ ‘appiccicata’ invece – almeno a prima vista –la grandissima presa d’aria sulla portiera: verniciata di nero, vorrebbe ricordare il condotto Naca che rende immediatamente riconoscibili le vecchie Countach. Nella parte posteriore, infine, la visione d’insieme restituisce bene l’idea di base: di fatto non esiste un paraurti e le superfici basse sono modellate per lasciare a vista le larghissime gomme ribassate. L’estrattore d’aria sembra un pezzo a sé: forse i designer potevano ‘incastrarlo’ meglio nello specchio di coda, ma evidentemente l’esigenza di tenere schiacciato al suolo un missile da oltre 350 km/h non ha consentito ampi margini di creatività. Dettagli, comunque, di fronte a una supercar di indubbio fascino, il cui rétro design – al netto di un’operazione nostalgia che farà proseliti, ma pure qualche scettico – verrà ricordato come l’omaggio al mito della Countach che, forse, nessuno si aspettava.