Le sportscar dei ’70: tra spigoli e motori centrali/2
Sono gli anni dei rover lunari, delle potenze e delle velocità da capogiro: in pista la Porsche 917/30 Can am supera i mille cavalli, mentre sulle strade di tutti i giorni è arrivata un’auto da oltre 300 orari, la Lamborghini Miura. Non è considerato un gran periodo per il car design tranne che per alcune eccezioni (Pininfarina Modulo, Bertone Strato’s, Nissan 126X…), ma l’innovazione non si ferma e le Case ‘scoprono’ il motore posteriore-centrale sui modelli sportivi di piccola cilindrata, l’antidoto alla crisi. E applicano il concetto al trionfo di spigoli che le tendenze dettano. Ecco le altre quattro sportive con il motore al centro che abbiamo selezionato per questo speciale.
MATRA M530 1967. Il Gruppo francese Matra (Mécanique Aviation Traction) nasce nel 1941 spaziando dall’aeronautica alla produzione di componenti in materiale plastico. Nel ’64 acquisisce la disastrata Automobiles René Bonnet che produce l’innovativa ma deludente Djet (telaio in acciaio e fibra di vetro) e la rinomina in Matra Sport. La Matra-Bonnet Djet riprende la produzione come Djet 5 e Djet 6. Nel ’67 il rinnovamento si completa con la nascita di una piccola sportiva per i giovani, tutta nuova e con il nome di un missile prodotto in casa: M530. Il progetto è una coupé con motore centrale, 2+2 posti e pure un’adeguata capacità del bagagliaio. Come la Djet si basa su un telaio in acciaio con componenti strutturali in fibra di vetro imbullonati. Per quanto riguarda il propulsore viene scelto un quattro cilindri a V di origine Ford da 1,7 litri e 75 cv davanti alle ruote posteriori. La trasmissione Transaxle è a quattro marce, la velocità massima è di circa 170 km/h. Nel ’69 Matra si unisce a Chrysler France: la M530 diventa M530 LX. Nel ’71 si aggiunge la versione economica M530 SX con fari fissi al posto di quelli retrattili. La produzione si conclude nel 1973 con un risultato di circa 9600 esemplari prodotti. Inizia l’era della Bagheera con tre posti.
FERRARI 308 GT4/DINO 208. GT4 1973. L’accordo Fiat-Ferrari del ’69 (la prima acquista il 50 percento della seconda) trasforma il Cavallino in un vero costruttore. Dalla sinergia con FIAT nasce la Dino 246, in produzione fino al ’73. Al Salone di Parigi di quell’anno la Casa presenta la 308 GT4 disegnata da Bertone, un modello epocale, il cui marchio ‘Dino‘ sul musetto è l’omaggio del Drake all’amato figlio scomparso nel ’56. È una scommessa in un periodo storico travagliato per tutto il mondo. La sigla racchiude la sua essenza: 3000 cc, otto cilindri centrale, gran turismo a quattro posti e trazione posteriore con cambio a cinque marce). Il generoso V8 a carburatori produce 255 cavalli per 250 km/h. Al Salone di Ginevra del ’75 la gamma si allarga con la 208 GT4, la risposta della Ferrari all’imposizione, in Italia, dell’Iva al 38 percento sull’acquisto dei beni di lusso (che per le autovetture significava una cilindrata sopra ai 2000 cc). Nella stessa scocca viene installato un V8 di due litri per 180 cv. Si riconosce per la calandra senza fari antinebbia e lo scarico singolo invece dei quattro gemellati. Alla fine del ’76 Dino 308 GT4 e Dino 208 GT4 ‘diventano Ferrari’ e ricevono il logo del Cavallino sul musetto. La 208 tocca 230 km/h ed è la più piccola otto cilindri di produzione della storia dell’automobile. La produzione finisce nel 1980: in totale si contano 2826 308 GT4 e 840 208 GT4.
LOTUS EUROPA 1966. Nel 1963 Colin Chapman è soddisfatto di Seven, MKVI da corsa e dalle vendite della Elan. Lancia il progetto di un modello più accessibile per espandere il potenziale del brand in Europa. È il momento, insomma, di andare sul continente e il nome scelto per la nuova auto è emblematico: Europa, appunto. Lotus guarda a una coupé con motore centrale per sedurre il gigante Ford, che in quel momento studia una belva da schierare a Le Mans contro Ferrari. La commessa è vinta dalla Lola (che progetta la favolosa GT40) perciò Lotus continua per conto proprio. Il motore scelto è il millecinque della Renault 16 con 78 cv: piccolo e leggero, accoppiato a una trasmissione a quattro marce. Nonostante la scarsa potenza l’Europa è una vera Lotus: sospensioni derivate dalle corse, peso ridotto (612 kg a vuoto). Lanciata nel 1966 l’Europa S1 è subito un successo anche se lo stile non raccoglie consenso unanime. Davanti ha fari incassati (l’Elan a scomparsa), in coda ha una vaga aria di shooting brake, in abitacolo i finestrini sono fissi per risparmiare. Ma dal punto di vista dinamico è una bomba, tanto che la poca potenza passa in secondo piano: gran risposta del telaio, ottimo assetto, motore piccolo ma ‘presente’ a ogni esigenza. E pure parco nei consumi. Di contro la qualità è solo ‘nella media’. Nel 1968 la nuova Europa S2 da 88 cv risolve alcuni problemi tra cui telaio più robusto e, finalmente, vetri elettrici. Alla fine del ’71 grazie all’arrivo del progettista Mike Kimberly dalla Jaguar ecco l’Europa S3 Twin cam con il 1.6 bialbero della Lotus Elan da 105 cv e nel tardo ‘72 l’Europa S3 Twin Cam Special con 126 cv (oltre 200 km/h) e cambio a cinque marce optional (di serie nel ’74). La produzione si conclude nel 1975 dopo circa 9200 esemplari. Inizia l’era della Esprit.
ALPINE A 310 1971. Jean Rédélé, classe 1922, nel ’55 fonda Societe des Automobiles Alpine e a 24 anni è il più giovane dealer Renault di Francia. Nel ’61 lancia il capolavoro, l’Alpine A110 e nel ’68 inizia lo sviluppo della sua erede: si guarda a una Gran Turismo con quattro posti e una adeguata sospensione posteriore a doppi triangoli. Il Salone di Ginevra del marzo 1971 accoglie la Renault-Alpine A310, un modello inedito, che compendia le tendenze del periodo: design geometrico, fari anteriori in due file da tre luci, padiglione con tegolatura finale come la Miura (nel ’74 viene adottato un più normale lunotto), grandi passaruota posteriori sinuosi. Il telaio è un tipo tubolare con ‘pelle’ in vetroresina. Il motore non è più a sbalzo ma nella più efficace posizione centrale: è il quattro cilindri 1.6 a carburatori della Renault16 TS con 115 cv per circa 850 kg di peso. L’A310 nasce in un momento difficile per tutto il mercato ciononostante il suo sviluppo è incessante: nel ’74 adotta l’iniezione ma le vendite non soddisfano. Nel ’75 nasce l’A310 ‘economica’ con un 1650 cc da 95 v e al Salone di Parigi del ’76 debutta un restyling ricco di contenuti: un nuovo frontale con fari ridisegnati (due file, quattro luci) ma soprattutto il V6 da 2,7 litri della joint venture PRV (Peugeot, Renault e Volvo) per 150 cv e 220 km/h. Esce di scena nell’estate dell’84 per essere sostituita l’anno successivo dalla Renault Alpine V6: GT da 2,85 litri e 235 km/h o la possente V6 Turbo da 250 orari. L’A310 ha totalizzato una produzione di 9250 esemplari con il V6 e circa 2350 con il quattro cilindri.
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Stratos la rinascita Lancia.
La crisi economica della fine degli anni Sessanta sembra non aver fine.
Domeniche di austerity senza auto e traffico, domeniche di libertà.
Lancia è in piena crisi finanziaria, è sopravvissuta durante il boom economico con le tre “F”: Flaminia, Flavia e i successi nei rally della Fulvia Coupé HF la Fulvietta tutto avanti con quel compattissimo motore V4 monotestata esempio unico di ingegneria meccanica.
Nel 1969 per non dichiarare fallimento Carlo Presenti cede Lancia ad una lira a Fiat che lo stesso anno rileva Autobianchi e Ferrari.
Oltre al rinnovo con la Beta e della Gamma ci vuole qualcosa di tremendamente veloce che contrasti l’attacco delle Alpine A110 e delle potenti 911 che stanno soverchiando l’agile Fulvietta HF del Drago, sui tornati del Col de Turini al Montecarlo e negli altri tracciati del campionato rally.
A Grugliasco c’è un genio con i calzini rosa, si chiama Nuccio e vuole plasmare Lancia con una nuova forma: il cuneo deportante incidente, introdotto in F1 da Colin Chapman. Il miglior rapporto tra incidenza e deportanza.
Nuccio vuole realizzare un one off, un prototipo sbalorditivo come quegli anni per poi dare inizio ad una nuova epopea Lancia nei rally.
Nuccio dai calzini rosa pensa in grande, vuole una sportiva dall’impostazione innedita, serve Marcello Gandini, il padre della Miura dal lungo cofano vuoto e dal rimmel attorno ai fanali.
L’idea è di copiare la Miura con il suo motore posteriore trasversale, eliminando il lungo cofano vuoto anteriore per tirare la linea inclinata del cuneo deportante incidente.
Il cuneo si chiama Stratos Zero il cuore è l’ormai modesto 4 cilindri a V stretta di 1,6 litri da 115 CV, in posizione centrale e ribassata per fare gravare il peso sulle ruote motrici e incrementarne la trazione. Gandini realizza pure una carreggiata posteriore più larga rispetto a quella anteriore per montare pneumatici larghi per avere maggiore trazione, una migliore tenuta di strada e una maneggevolezza superiore, favorita dal passo corto, dal baricentro basso e con una distribuzione dei pesi ottimale.
Marcello arretra i montanti del tetto e realizza un parabrezza avvolgente, parabolico, per consentire al Drago di fare la differenza negli stretti tornanti di montagna… vedere oltre lo sguardo.
Manca solo il cuore, un cuore che deve ruggire più del flat six della 911 di Porsche.
Un sei cilindri da corsa per battere Porsche.
Bisogna andare a Maranello e cercare qualcosa di straordinario…
E qualcosa di straordinario c’era, era il testamento scritto da Alfredino Ferrari, quel fantastico motore Dino Ferrari che dominò la F2, sarà quello il cuore e il ruggito della Stratos, probabilmente la più stupefacente, futuristica worldrally car di ogni tempo, una anticipazione dei prototipi dei gruppi B che seguiranno.
Stratos, il cuneo deportante incidente di Lancia che ruggì nel nome di Alfredino Ferrari.
È la dimostrazione che nei momenti di crisi bisogna reagire per non morire. E Lancia reagì dominando i rally con un progetto geniale, stupefacente.
Lancia prima della 037, realizzò il primo gruppo B, prima dei gruppi B: la Stratos.
Perché la Stratos?
Perché la Stratos fu un prototipo espressamente progettato per vincere i rally.
Il 1972 fu l’anno fatidico, fu il crepuscolo della Lancia Fulvia Coupe’ HF la tutto avanti con il 4 cilindri a V stretta monotestata progettato di notte, a casa da Ettore Zaccone Mina. Fu l’ultima inaspettata vittoria della Fulvia Coupe’ HF al Rally di Montecarlo contro tutti i pronostici, sbaragliando lo squadrone delle Alpine Renault di Jean Rédélé da Dieppe.
La Fulvietta sul Col de Turini con il Drago al volante batte’ le ringhiose, profilate e leggere berlinette della Normandia realizzate con il concorso di due grandi italiani.
Rédélé per rendere protagoniste nei rally le sue A110, le volle affilare aerodinamicamente nel disegno di Michelotti e farle spingere da un 4 cilindri Renault che grazie ad Amedeo Gordini divenne il ringhiante 1.800 tipo 844. Il blu Francia fu la ciliegina sulla Alpine. Lo squadrone Alpine sembrava inarrestabile nell’ascesa verso la vittoria. E come se non bastasse, alle A110 si unirono le Porsche 911 che sfioravano i 300 cavalli.
Fu una vittoria di Lancia o di Munari?
Fu la vittoria di entrambi, Munari era diventato un asso della guida su neve e nel viscido, acceleratore a tavoletta e piede sinistro sul freno per aggredire i tornanti dove le scatenate Alpine e Porsche scivolavano in sovrasterzo.
Per questo la vittoria Lancia divenne leggenda come il Drago e la Fulvia Coupe’ HF.
Ora, cosa fare?
O ti ritiri o vinci. E se vuoi vincere devi ideare qualcosa di nuovo, qualcosa di mai visto, qualcosa di stratosferico per battere Alpine e Porsche.
Quel qualcosa apparve nel 1972 al Tour de Corse, dove il Drago battezzò nel nome di Nuccio Bertone, di Nicola Materazzi, di Marcello Gandini, di Alfredino Ferrari e di Lancia, la Stratos.
Ancora oggi, guardandola e guidandola possiamo ancora affermare che: “Oltre la Stratos c’è il nulla”.
Con la Stratos tutto è stato fatto.
Il design dell’auto sportiva dopo la Stratos non ha detto più niente.
Stratos era, ed è qualcosa di sconvolgente, la volontà di uomini che hanno voluto un progetto innovativo e dirompente, che rompesse con le concezioni del passato.
Rappresenta il segno distintivo di Bertone, la volontà di sbalordire, di esplorare nuove concezioni come il cuneo deportante incidente di Colin Chapman e della Lotus 56, applicato ad un prototipo da rally che anticipa i leggendari gruppi B.
Particolari unici ed irripetibili: Il parabrezza parabolico per aggredire i tornanti, il taglio alieno dei finestrini, i fari incassati, le portiere senza cornice, la griglia a scaglie.
Il motore Ferrari Dino V6 protagonista in F2 testamento di Alfredino Ferrari venne incastonato in posizione centrale, trasversale, posteriore e messo a punto da Tonti in quel compatto cuneo spaziale, il più bel segno di Marcello Gandini sotto la guida attenta di Bertone.
Stratosferica.
Ha definito la nuova forma della sport-car del futuro, oggi come allora.
Una scultura spaziale che avrebbe dominato i rally e si sarebbe distinta su strada come in pista e che ancor oggi primeggia.
Questa è la Stratos.
Questa era Lancia.
La bête à gagner, il cuneo Lancia.
Darniche, detto Nanard fu il moschettiere di Francia che per vincere, abbandonò al suo destino le Alpine A110 per sposare la Stratos.
Dopo il tradimento di Dieppe, Nanard per vincere poteva fare una sola cosa.
C’erano due possibilità: le Stratos ufficiali, quelle del Reparto Corse Lancia o quelle preparate da Maglioli.
Nanard sapeva che le Stratos di Claudio Maglioli spesso, ne avevano di più.
Maglioli fu uno dei più importanti colladautori Lancia e fu il primo a provare e a sviluppare la Stratos per il Reparto Corse Lancia.
Egli sapeva come sviluppare al meglio lo stratosferico cuneo da rally in gruppo 4. Maglioli lasciò Lancia per proseguire da privato il suo lavoro di sviluppo della Stratos nella sua officina: l’Atelier MFS Maglioli, diventando autore incontrastato delle migliori Lancia che i rally abbiano consegnato alla storia di questo sport.
Non a caso le sue Stratos ottenero più di cento vittorie e due titoli europei proprio con Nanard, Bernard Darniche.
Maglioli iniziò il lavoro realizzando la Fulvia Barchetta, quella rossa Lancia senza tetto che consentiva al Drago, al Nürburgring ed alla targa Florio di entrare sparato in tutte le curve del tracciato, per poi sentirsi dire da Ludovico Scarfiotti che era più veloce delle Porsche, delle Alfa Romeo e delle Ferrari.
Fu proprio Maglioli che realizzò le azzurre Lancia Stratos Chardonnet tanto amate da Bernard da fargli dimenticare presto L’Alpine A110.
A Biella quelle Stratos azzurre crebbero fino a diventare imbarazzanti per il Reparto Corse Lancia, che spesso fu spinto a chiedere in prestito d’uso il tecnico di punta di Maglioli, Piero Spriano.
La vittoria del Monte del ‘79 non fu inaspettata perchè i signori di Torino decisero, assieme a Ford con la Escort, di far debuttare nei rally le berline per famiglie.
Maglioli ebbe così via libera con l’azzurra Stratos che venne affidata a Nanard.
Nanard si trovò in riviera in mezzo a tante berline di famiglia, Fiat 131, Ford Escort, Opel Ascona con l’azzurra regina dei rally.
Condusse una corsa fantastica o meglio un’inesorabile rimonta sulla berlina da famiglie di Ford, quella Escort RS pilotata con la diligenza del buon padre di famiglia Bijorn Waldegaard, culminata nell’ascesa al Col de Turini, proprio dove Nanard si esaltava con la vecchia Alpine A110, con l’azzurra Stratos che non fu ovviamente da meno. Anzi, fu superlativa.
Quella non fu però un’impresa insperata, fu la dimostrazione di un errore compiuto dagli uomini di Torino che vollero prematuramente prepensionare la Stratos per vendere le 131 ai diligenti padri di famiglia.
Non da meno, furono le 037 preparate e rivisitate per il Grifone di Genova e per Andruet, altro moschettiere di Francia che diventò un grande.
Biella, the land of Stratos.