La Abarth fa 70/2. Casco, bombetta: berlina perfetta
LA CASSETTA. Già nel 1956 la Fiat 600 (1955, 633 cc, 21,5 cv per 95 km/h) si trasforma in Fiat 600 Derivazione Abarth: alesaggio e corsa 61×64 mm, 747 cc, alimentazione, aspirazione e scarico specifici, pistoni, albero motore e volano rifatti, radiatore maggiorato, rapporto al ponte 8/39 in luogo di 8/43. Risultato: 41,5 cv e 130 km/h. Per i piloti privati che corrono nella categoria Turismo, l’asso nella manica; per Abarth, un successo immediato e un business di lungo periodo. Alimentato da un nuovo colpo di genio: la messa in vendita di un kit d’elaborazione (una cassetta vera e propria, in legno) che contiene le istruzioni e tutti i pezzi necessari per ‘farsi in casa’ (meglio se nell’officina del meccanico di fiducia) una 600 Abarth sostanzialmente uguale a quelle vendute già complete. La cassetta completa costa cara (250.000 lire nel 1956, più o meno quanto una Vespa e mezza), ma il vantaggio è che le componenti si possono acquistare anche sciolte, modificando la propria auto solo quanto si desidera… o ci si può permettere.
‘MATRIMONIO’ CON LA FIAT. Nella primavera del 1958, l’uomo venuto dall’Austria trasferisce tutte le attività in nuovo e più grande stabilimento, in corso Marche, e firma con la Fiat un contratto che sarà una miniera d’oro: fornitura da parte della casa madre delle vetture da elaborare in forma ‘alleggerita’ (cioè già private delle parti da sostituire) e un bonus in danaro per ogni vittoria conquistata da una Fiat rielaborata Abarth. Quasi a consacrare il “matrimonio”, la 600 Derivazione cambia nome e diventa Fiat Abarth 750.
EVOLUZIONE DELLA 600. Ha così inizio una saga che durerà fino al 1970. Costellata dalla creazione di altri modelli-mito. La Fiat 600 D (1960, 767 cc, 29 cv, 110 km/h) si trasforma ben presto in Fiat Abarth 850: 833 cc, 52 cv (57 nelle versioni più pepate, le S), 140 km/h. Con le sue corrispondenti varianti da corsa, destinate sia alla squadra ufficiale sia ai piloti privati: 850 TC (Turismo Competizione, freni anteriori a disco, 150 km/h); 850 TC Nurburgring, creata per celebrare le sonanti vittorie dello squadrone Abarth sulla Nordschleife; 850 TC Nurburgring Corsa (cambio a 5 marce, 4 freni a disco, radiatore supplementare anteriore, 57 cv per 160 km/h). Nel 1962 la stessa scocca riceve un bel 982 cc monoalbero realizzato (su basamento Fiat) dalla stessa Abarth, ed ecco pronta la Fiat Abarth 1000: 60 cv e 155 km/h per iniziare, poi 68 cv e 170 km/h (1000 Corsa, 1963) e 76 cv per 190 km/h (1964). Alla fine, adeguandosi via via ai regolamenti sportivi, la vettura finirà (1970) per chiamarsi 1000 TCR (l’ultima lettera deriva dall’adozione di una nuova testata a valvole radiali) e per mettere sull’asfalto 112 cv.
UNA 500 DA RECORD. In parallelo, corre la storia delle Fiat 500 Abarth. Già tre mesi dopo il lancio della piccola di Torino, al Salone di Torino del 1957 Carlo Abarth ne presenta la sua interpretazione: 22 cv e oltre 100 km/h in luogo dei 13 cv e degli 85 km/h originali. Poi ribadisce il colpo con una versione ulteriormente potenziata (26 cv e 118 km/h) che porta a girare col gas a tavoletta per una settimana sull’anello di alta velocità dell’Autodromo di Monza nel febbraio del 1958: 18.186 km a più di 108 km/h di media, sei record mondiali di categoria conquistati (solo i primi una lunga serie).
LA 595. Poi, per qualche anno, calma apparente: la produzione delle 600 elaborate (e delle relative cassette di trasformazione) assorbe tempo e lavoro in corso Marche. Fino a quando, nel 1963, nuovo colpo di scena: debutta la Fiat Abarth 595, basata sulla Fiat 500 D lanciata nel 1960: nuovo blocco cilindri, albero a gomiti e bielle lucidati, asse a camme specifico, pistoni ad alta compressione, carburatore maggiorato, l’immancabile marmitta Abarth. Risultato: 27 cv, 120 km/h. Anche in questo caso, è già pronta la cassetta per l’elaborazione home-made: 109.000 lire trasformare una 500 D in Abarth 595, con l’aggiunta di un kit semplificato per chi si accontenta degli originari 499,5 cc.
POI DIVENNE LA 695. Pure la 595 avrà le sue evoluzioni. Prima (febbraio 1964) la 595 SS, scelta obbligata per chi vuole correre: 32 cv, 130 km/h, scelta tra quattro rapporti al ponte, allestimento estetico specifico. Il kit per trasformare una 500 D di serie costa 152.000 lire, mentre per quello che permette l’upgrade di una 595 ne bastano 57.000 (la cifra necessaria, tre anni più tardi, per uno dei primi Ciao della Piaggio). Un mese dopo arriva la Fiat Abarth 695: 689,6 cc, 30 cv, oltre 130 km/h. Seguita (prima della fine dell’anno) dalla 695 SS, con 38 cv per 136 km/h, e infine (1965) dalla 695 SS Assetto Corsa (realizzata sulla base della Fiat 500 F), che finalmente adotta (anche se solo a richiesta) i quattro freni a disco.
LEGGI ANCHE
La Abarth compie 70 anni: 1a puntata
La Abarth compie 70 anni: 3a puntata
Nel 1955 si diffonde l’emblema della motorizzazione delle famiglie italiane.
La Fiat 600.
È l’auto alla portata dei giovani che tuttavia vorrebbero qualcosa in più.
Sognano la Giulietta Spider, impazziscono per l’Alfa Romeo 1900 Disco Volante e l’Aurelia Coupe’ B20.
Ma non sono auto alla loro portata.
Quel qualcosa di più, partendo dalla 600 di seconda mano, lo crea a Torino, riposto in una magica cassa di legno, Herr Carlo Abarth con la sua preparazione tonificante.
Immediatamente si diffonde il rombo Abarth e le grigie 600 acquistano inaspettata vitalità.
Il motore, portato da 633 a 747 cc, scrupolosamente modificato, forniva una potenza di 42 cavalli, quasi il doppio rispetto alla 600.
È la febbre Abarth e gli italiani diventano tanti meccanici di cortile.
Marmitte aperte, carburatori a doppio corpo con coni di aspirazione liberi, albero a camme spinto, valvole e molle valvole maggiorate, albero motore e volano alleggeriti, pistoni con deflettore, cambio a rapporti ravvicinati con terza lunga, lunghissima, radiatori dell’olio sul muso e coppe dell’olio ribassare e alettate, testata ed assetto abbassati, cerchi autoventilati e paraurti gettati via, alle ortiche, conferiscono un’inaspettata grinta alla 600.
Il sabato e la domenica si corre sulla parabolica di Monza. Quella della foto.
Abarth ora non può fare a meno di inseguire il successo, il passo successivo è abbandonare la carrozzeria della 600, con una forma aerodinamica realizzata in lamiera leggera.
Per quello non serve solo un nobile battilastra, ci vuole molto di più.
Quel quid in più lo trova a Milano, da Ugo Zagato e dal figlio Elio indottrinati della scienza aerodinamica dal cottimo affidato dalla fabbrica di aeroplani dell’ing. Pomilio.
I Zagato sanno come guadagnare velocità nella forma. La loro ricetta è riduzione e rastremazione del muso, dei fianchi e della sezione frontale per ridurre resistenza e vortici, e per finire la coda tronca di Kamm.
Sono le ricerche degli aerodinamici Paul Jaray e Wunibald Kamm i Zagato applicano tanto alle Abarth, quanto alle Alfa Romeo aggiungendovi leggerezza.
Con la nuova veste e il bialbero in testa, le Abarth vanno a caccia di record nel tempio della velocità.
Una raffica di record a Monza nel luglio del 1957.
Giri su giri del circuito per quattro giorni e la piccola coupé Zagato batté 15 record di velocità con una media di 165.346 km/h.
Le versioni successive, di alesate fino a 981 cc, con distribuzione bialbero, caratterizzate dalla “doppia bolla” Zagato per alloggiarvi il casco del pilota, abbassato il tetto, servono a far vendere tante casse di preparazione magica ai piloti della domenica.
Fu così che Herr Abarth divenne il re delle piccole auto e inventò il tuning.
Questo, senza saperlo.
Nel 1948 in una segheria sulle Alpi della Carinzia, un piccolo grande uomo dalla testa grossa, di ritorno dal carcere francese per crimini di guerra, accusato al fine di estorcere alla famiglia del denaro, trasformò l’auto del popolo tedesco, la prima world car germanica, nella Superleggera, costruita in alluminio battuto a mano su matrice in legno sotto la supervisione di mastro Weber.
Mastro Weber e il Prof. Ferdinand diedero forma alla silhouette inconfondibile della 356 che ancora oggi porta il nome di quel piccolo grande uomo: Porsche.
Herr Karl Abarth a Torino ripercorse anch’esso la metamorfosi del bruco che diventò farfalla e come quel piccolo grande uomo tedesco, trasformo una Fiat del popolo italiano, la Fiat 600, come il Maggiolino che diventò Porsche.
Cosa però venne a mancare?
Perché le Abarth con carrozzeria coupé non divennero le antagoniste delle 356 di Porsche?
Perché non avvenne l’evoluzione della farfalla?
Le Abarth divennero popolari come “Derivazioni” di utilitarie Fiat, ottenute da pezzi meccanici consegnati in cassette di legno ai meccanici della domenica, più raramente diventarono leggere e aerodinamiche farfalle.
A Herr Abarth mancò la visione di Porsche: la vendita transatlantica di un modello sportivo derivato da un’utilitaria provvista di una carrozzeria leggera, originale e sportiva come accadde invece negli Stati Uniti con la 356 di Porsche immortalata da Paul Newman in Detective Harper oltre ad essere stata la preferita di Janis Joplin e James Dean.
Colpo di scena.
La storia tra i due s’intreccia nel ‘59 quando il Prof. Porsche e il figlio Ferry invitano Herr Abarth a trasformare la loro 356 in una Abarth Porsche.
Non fu il solito specialista di aerodinamica Elio Zagato a disegnarne la carrozzeria bassa e profilata con il tetto a due gobbe per alloggiarvi la sommità della testa e la coda tronca di Kamm, soliti estremismi aerodinamici di Zagato funzionali a ridurre la sezione frontale e il vortice posteriore che caratterizzarono la Giulia TZ2.
Per disegnare l’Abarth Porsche 356, Herr Abarth si rivolse a Franco Scaglione padre dell’indimenticabile 33 Stradale, uno dei più affascinanti Coupe Alfa Romeo di sempre. Franco Scaglione voleva superare l’aerodinamica di Zagato ed estremizzò l’aerodinamica della 356 all’inverosimile.
Il risultato fu scomodo per chiunque: lo spazio era limitato anche per i piccoli italiani del dopoguerra, il tetto era più basso di oltre 10 cm. e assai più grave, senza le gobbe Zagato per inserirvi la testa.
La carrozzeria presentava un imponente muso lungo e vuoto, secondo solo alla Miura, mentre la coda era corta ed arrotondata verso il basso. La Porsche 356 Carrera GTL Abarth, meglio conosciuta anche come Porsche Carrera-Abarth pesava un pilota meno della 356 originale e già nel primo giro di pista seminava le consorelle 356.
In breve, il Prof. Porsche e il figliolo Ferry annullarono il contratto con Herr Abarth e provarono a realizzare carrozzerie più aerodinamiche, profilate e leggere come quelle di Scaglione e di Zagato, ma meno scomode per gli occupanti.
Capirono che era venuto il momento di alzare la posta ed aggiunsero due cilindri al boxer del Maggiolino.
Nacque così il flat six Porsche e la 911 del figlio Ferry “ispirata” al disegno di Franco Scaglione della Porsche 356 Carrera GTL Abarth.
L’evoluzione sportiva della Porsche 356: tutta colpa di Herr Abarth e della sua smania di trasformare il meglio nel massimo.