Capo Nord – Capo Sud: il raid. Con l’Alfetta!
Nell’estate del 1973, due uomini fuori dal comune compiono un viaggio incredibile con un fortunato giornalista al seguito. L’equipaggio è composto da Giancarlo Baghetti (ex pilota di Formula 1, fotografo e poi direttore di Auto Oggi), Fabio Galliani (giornalista del settimanale Oggi) e Gianni Taroni:— pilota, organizzatore dell’impresa e poi fondatore della TarOx. Il mezzo? Un’Alfetta 1.8 preparata per l’avventurosa spedizione.
30MILA KM SUPPERGIÙ. Galliani fornisce indicazioni molto precise su come sia nato il progetto: “Un giorno, alla redazione di Oggi, arrivò Gianni Taroni e disse che lui e Baghetti avevano in mente un raid bellissimo, e cercavano un terzo viaggiatore”. Si tratta di una tirata di circa 30mila chilometri: partire dalla punta estrema punta del continente Europeo, Capo Nord in Norvegia, ed arrivare alla punta posta all’estremità meridionale del Continente Africano ovvero il Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. L’idea è bella e i tre lavorano per renderla effettiva nel minor tempo possibile. La prima decisione riguarda naturalmente la vettura da utilizzare e il buon Baghetti trova quasi subito la soluzione: “Tutto a posto” – esclama – “ho trovato la vettura giusta, andiamo con l’Alfetta”. Per prima cosa, Galliani chiede: “Ma l’Alfa Romeo è d’accordo?”. “Certo che è d’accordo, è d’accordissimo” risponde l’ex pilota, l’unico pilota, ad eccezione di Nino Farina, ad aver vinto Gran Premio di Formula 1 all’esordio assoluto. L’organizzazione si mette in moto.
Per l’Alfetta nessun accorgimento particolare: esternamente un grande portapacchi, una griglia di tubi metallici per riparare il radiatore da eventuali colpi e una lastra in duro alluminio per proteggere la coppa dell’olio. Internamente un filtro dell’aria supplementare a bagno d’olio, per difendere il motore dall’impalpabile sabbia del deserto. Essenziali anche gli accessori e i ricambi: otto taniche di benzina, tre ruote di scorta, attrezzi vari e cibi per almeno due settimane. Il carico arriva a 500 chilogrammi, senza l’equipaggio. Tutto è pronto, si può partire. Starting point, Capo Nord, una balconata naturale a picco sull’Oceano: 300 metri di strapiombo, di fronte a te 1800 chilometri di Oceano Artico e poi la banchisa polare. Nonostante la stagione estiva il termometro segna -2C.
La Lapponia è il deserto d’Europa, chilometri e chilometri di desolazione sotto il cielo lattiginoso del giorno perenne. Le strade sono in pessime condizioni, ma con migliaia di chilometri da percorrere Baghetti e Taroni impongono un ritmo mozzafiato: non si scende mai sotto i 130 km/h.
“Se questo raid lo vogliamo fare davvero, bisogna tirare”, avverte Baghetti, “tanto è sempre giorno”. A Kautokenio, in piena Lapponia, viene scattata una foto all’1:30 del mattino: nell’estate polare il sole non ne vuole sapere di tramontare.
Da Kautokenio fino a Siviglia, nel sud della Spagna, la strada è asfaltata e si può andare in scioltezza: in quattro giorni e tre notti il trio percorre 5738 chilometri attraversando la Scandinavia, giù per Danimarca, Germania e Francia. Non ci si ferma per dormire, i due piloti s’alternano al volante.
Dalla Spagna al Marocco, raggiungono Tangeri via mare. Poi inizia la strada delle antiche città imperiali Fez e Meknes. Quindi è la volta dell’Algeria e poi giù verso sud dove il paesaggio è già quello del grande Sahara, comodità comprese: alberghi non ce ne sono e devono dormire dove capita.
“C’è ancora la strada asfaltata, ma spesso viene interrotta dalle dune portate dal vento: è molto facile insabbiarsi o perdersi del tutto”.
“A El Golea, 2242 chilometri da Tangeri, scopriamo che non avremmo potuto attraversare il deserto lungo la pista numero 1, quella di Tamanrasset, perché il vento impediva il passaggio. Ci aspettava la pista numero 2, quella che attraversa il terribile Tanezrouft meglio conosciuto come ‘il paese della paura’. Siamo partiti in carovana: le autorità non danno il permesso di attraversare la zona in solitaria. L’asfalto finisce ad Adrar: da quella piccola oasi, 1500 chilometri di deserto piatto dove non vivono più nemmeno gli scorpioni, dove la pista scompare di continuo spazzata dal vento. Qui incontri soltanto carogne d’animali, abbandonate dai convogli di camion che d’inverno trasportano bestiame nel Mali”.
Nel deserto, dove perdersi è facile e non è raro trovare carcasse di auto abbandonate, il caldo è feroce: “La temperatura quando il sole era alto raggiungeva i 65 gradi; la notte ci portava un po’ di refrigerio, ma non si scendeva mai al di sotto dei 30 gradi”.
Alle porte della cittadina di Gao, in Mali, finisce il Sahara; dopo dodici giorni di traversata il trio entra nella regione del Sahel dove la vita per i Touareg, la popolazione nomade che da sempre vive qui, è resa molto difficile dalla costante siccità. Le condizioni del manto stradale sono sempre precarie e non è raro insabbiarsi.
Dopo il deserto ci sono 5000 chilometri di sterrato dove le strade variano in continuazione. Nel mentre l’Alfetta valica l’Equatore e passa nell’emisfero sud del globo.
In un tratto di foresta in Nigeria, la vegetazione invade completamente la pista, mentre in altri tratti il fondo stradale sembra il letto di un torrente in secca. “L’Alfetta, sempre stracarica, ha dovuto sopportare i collaudi più tremendi, perché Baghetti e Taroni non staccavano il piede dall’acceleratore: del resto o si rischia o si viaggia ad una media di 25-30 km/h. E non si può andare a 30 all’ora per migliaia di chilometri”.
“Nel Dahomay, nel Niger, nella Nigeria, nel Camerun e nel Gabon abbiamo attraversato le foreste in gara con le grandi piogge. Era una corsa con il tempo. La pioggia ci inseguiva: se ci avesse raggiunto avremmo dovuto fermarci, perché le piste della foresta quando piove si trasformano in torrenti e non passa più nessuno”.
Quando ci si trova di fronte ad una strada allagata è Taroni che salta giù dalla macchina e va a cercare il punto meno profondo del guado: “In Africa abbiamo imparato che la manutenzione delle strade, da quelle parti, non esiste e la cosa più incredibile è che l’Alfetta abbia resistito ad un massacro del genere; abbiamo spaccato un ammortizzatore e questo è stato, miracolosamente, l’unico guaio meccanico”.
In Angola finiscono le piste e s’incontrano di nuovo le strade asfaltate. Galliani annota: “Finalmente riusciamo a fotografare qualche animale; cominciavamo già a temere di tornare a casa dall’Africa avendo visto soltanto dromedari e invece abbiamo fatto correre l’Alfetta con le zebre, ci siamo parcheggiati tra i leoni, abbiamo incontrato scimmie e giraffe”.
La traversata dell’Africa lascia un ricordo piuttosto intenso: “Da quando abbiamo lasciato le strade asfaltate dell’Africa del nord, fino al momento in cui siamo giunti a Luanda, in Angola, abbiamo percorso 8212 chilometri sulle piste più terribili del mondo; il Sahara, la savana, le grandi foreste tropicali, non c’è possibile confronto con nessun altro percorso”. Qualcuno oggi potrebbe dire che 800 e più chilometri di sterrato su un percorso di quasi 30mila chilometri non è certo una gran cosa, ma il giornalista la pensa diversamente e definisce l’esperienza fuori strada come un massacro: “Baghetti e Taroni non sono certo i tipi che risparmiano le auto: altrimenti come avremmo fatto a fare più di 26mila chilometri in 29 giorni, comprese le dogane di 19 paesi e i vari traghetti?”
Sull’asfalto del Sudafrica si corre verso Città del Capo: giusto il tempo di una foto ad un gigantesco baobab che misura trenta metri di circonferenza e poi la scena conclusiva dove, alle spalle dell’Alfetta, si congiungono i due oceani Atlantico e Indiano. “Il continente africano è finito, non si può fare un passo di più”.
E come succede alla fine di ogni viaggio arriva il tempo dei bilanci: ”Che cosa abbiamo voluto dimostrare con questo raid? Che con una macchina come l’Alfetta si può andare ovunque”. Nata per le strade europee, progettata viaggiare sulle curve veloci e non per essere usata come una Land Rover, è riuscita comunque ad arrivare in fondo nonostante le innumerevoli difficoltà. ”Credo che nessuno abbia mai buttato allo sbaraglio un’automobile come hanno fatto Baghetti e Taroni con l’ Alfetta”, conclude il giornalista, “sono convinto che un collaudo come questo raid sia davvero senza precedenti, perché Baghetti e Taroni non hanno mai risparmiato nulla alla vettura, anzi l’hanno sempre messa nelle condizioni di rompersi. E invece non si è rotta”.
Distanza percorsa: 26057 km
Media giornaliera : 880,8 km
Tempo impiegato: 29 giorni, 14 ore
Consumo carburante: 6,14 km/l
Consumo olio motore: 1 kg di olio ogni 2895 km
Deve essere stato un viaggio bellissimo e indimenticabile.
Chissà dov’è finita quell’alfetta;
La si dovrebbe rintracciare e (se ancora esistente) meriterebbe un restauro