Bimotore. Le auto da corsa ‘raddoppiate’

Bimotore. Le auto da corsa ‘raddoppiate’

MASERATI V4 (1929). Il primo dicembre del 1914 i fratelli Maserati fondano a Bologna una società per la preparazione delle Diatto da competizione. La collaborazione con il marchio torinese si conclude nel ’26: Alfieri Maserati, il primus inter pares dei fratelli, utilizza il bagaglio acquisito e sviluppa la propria auto da corsa. La Maserati 26 debutta alla Targa Florio di quell’anno e vince la classe, risultato che dà il via a un’escalation evolutiva senza sosta. La Maserati (che la settimana scorsa abbiamo celebrato con una #weekveloce) si dedica al cento per cento alle competizioni e nel ’29, in uno scenario di febbrile sviluppo e ampliamento delle formule sportive, progetta la sua arma per i grand prix. Il nuovo modello viene denominato V4 (cilindri a V, quattro litri). Il concetto è semplice: abbinare a un telaio di serie, debitamente irrobustito, un motore di elevata potenza. Allo scopo sono uniti due otto cilindri con compressore ciascuno e nasce un sedici cilindri di 4 litri a V di 25 gradi con doppia sovralimentazione. La V4 eroga 280 cv e, naturalmente, denuncia un peso elevato a causa del raddoppio degli organi accessori. In coda viene collocato il grande serbatoio di carburante da quasi 180 litri. La mostruosa Maserati debutta al Grand Prix di Monza il 15 settembre ’29. Ai primi di ottobre Borzacchini conquista il record del mondo di velocità a Cremona a oltre 245 km/h di media. Nel 1930 vince il GP di Tripoli ma deve ritirarsi a Monza, alla Coppa Acerbo e alla 500 Miglia di Indianapolis. Conclusa l’avventura agonistica uno dei due esemplari costruiti viene convertito da Zagato in un’elegante spider due posti bicolore. Oggi questa avvenente GT in doppia tonalità di verde fa parte di una preziosa collezione di auto storiche negli Stati Uniti insieme ad altre creazioni di Zagato.

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PORSCHE 917 (1969). La stagione 1968 del Mondiale Sport è vissuta in sordina: pochi partecipanti, Ferrari assente, Porsche imprendibile. Per il ’69 il regolamento è più morbido: nella classe regina, 5 litri, si possono iscrivere auto fino a dodici cilindri e produzione minima di 25 esemplari. Porsche è al lavoro già dall’estate 1968. Il gruppo di progettisti guidato da Ferdinand Piëch utilizza la 908 come punto di partenza: unisce due unità boxer da 2,2 litri della 911 R e ottiene un boxer dodici cilindri di 4494 cc raffreddato ad aria (con ventola orizzontale sopra il motore). Il telaio è un traliccio tubolare con sospensioni a doppi triangoli e la carrozzeria è in vetroresina con parti allungabili secondo le esigenze e le gare. La 917 entra in società al Salone di Ginevra, il 12 marzo del 1969. Nelle settimane successive i 25 esemplari per l’omologazione sono parcheggiati nel cortile di Weissach per la tradizionale fotografia. Il 15 maggio debutta in corsa alla Mille Chilometri di Spa, ma si ritira. Alla Targa Florio si preferisce utilizzare le 908 dell’anno prima e alla Mille Chilometri del Nurburgring conclude all’ottavo posto. A metà giugno la gara più importante, la 24 Ore di Le Mans. Alla partenza, di corsa verso le auto parcheggiate, Jacky Ickx raggiunge la sua Ford GT40 camminando per protesta contro la procedura. John Woolfe su una 917 privata sale e parte ma, forse, non si allaccia bene le cinture. A metà del primo giro esce di pista uccidendosi. Le due macchine ufficiali sono costrette al ritiro. L’1 agosto, alla Mille Chilometri dell’Osterreichring, Jo Siffert e Kurt Ahrens regalano alla 917 la sua prima vittoria. Nelle settimane successive la Porsche organizza test privati a Zeltweg per sviluppare la macchina e risolvere i problemi. La situazione finalmente si trova ‘tagliandone’ la coda: nasce la 917K, una delle auto da corsa più straordinarie della storia.

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ALFA ROMEO 16-C BIMOTORE (1935). A metà anni ’30 le Alfa Romeo della Scuderia Ferrari (team privato delle Alfa Romeo ufficiali) non riescono a contrastare la forza dei giganti tedeschi (Mercedes e Auto Union). Di fronte alle esortazioni del regime fascista, Enzo Ferrari pensa a un’erede titanica della 8C-35, una monoposto per i Grand Prix con 16 cilindri. In un telaio P3 modificato sono installati due otto cilindri con compressore (uno frontale e uno in coda) collegati a un cambio a tre marce. La potenza è di 540 cavalli, un vero mostro: difficile da guidare e da gestire, una massacratrice di gomme. Attraverso una leva, è possibile ‘sganciare’ il motore posteriore e utilizzare solo quello anteriore. A metà aprile ’35 la Bimotore viene presentata alla stampa sulla Milano-Bergamo e in quell’occasione Nuvolari supera 300 km/h. Il 12 maggio il primo impegno sportivo con due esemplari: il Mantovano Volante e Louis Chiron corrono al GP di Tripoli (Nuvolari corre con una 6300; a Chiron una 5800) e concludono al quarto e quinto posto. Due settimane dopo all’Avusrennen il pilota francese è secondo, ma con un profondo distacco dal vincitore Fagioli su Mercedes W25, Nuvolari si ritira. Per l’Alfa Bimotore il destino è già segnato (Nivola vuole tornare alla ‘vecchia’ ma sincera P3) ma prima dell’addio alla mostruosa sedici cilindri è necessaria una prova della sua forza. Il 15 giugno, sull’autostrada Firenze-Mare il Mantovano Volante stabilisce il nuovo record del mondo: 321 km/h sul chilometro lanciato, 323 sul miglio. In quella prova tocca 364 km/h.

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BUGATTI TYPE 45 (1929). Il campionato europeo Grand Prix del del 1928 deve tenere conto della crisi economica dell’Europa. I regolamenti, perciò impongono un limiti ai consumi. Nel ’29 si corre praticamente ovunque secondo la formula libera e questo reintroduce la tendenza verso auto con motori di grande cilindrata. La progettazione ex novo di un propulsore appare inutile perciò: per ridurre i costi, la prassi è moltiplicare le unità già esistenti così da contenere la complessità meccanica. Bugatti intraprende questa strada attraverso l’unione di due 8 cilindri della valida Type 35. Il risultato ottenuto è un 16 cilindri che va a costituire il cuore pulsante della Type 29. Questa sorta di “motore a U” ha una cilindrata complessiva di 3,8 litri, due alberi a camme verticali, 3 valvole per cilindro, un’unica trasmissione con quattro rapporti. La potenza è di 250 cv ma l’unità motrice palesa una certa debolezza a causa della complessità riscontrata. È infatti necessario armonizzare due motori ovvero due ‘castelli’ di ingranaggi e ottenere il funzionamento di un’unica infrastruttura. Il progetto viene quindi abbandonato velocemente ma altresì cominciato l’allestimento di un secondo esemplare con caratteristiche stradali. Invece della Bugatti Type 47 viene portato a termine solo il rolling chassis (la meccanica funzionante).

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VOLKSWAGEN GOLF GTI BIMOTORE (1987). Negli Anni ’80 uno degli appuntamenti principali per le Case impegnate nei rally Gruppo B è la Pikes Peak. Per il pilota tedesco Jiochi Kleint è diventata una questione d’onore. Kleint arriva terzo in vetta nel 1985 e quarto nel 1987. La cronoscalata ai 4300 metri della cima è un concentrato di scenari differenti tra loro, che cambiano repentinamente costringendo il pilota a un veloce adattamento: dall’asfalto della partenza allo sterrato del picco, dall’aria normale della parte bassa a quella più rarefatta della parte alta del tracciato, che rende perciò la sovralimentazione una condizione essenziale. Per il 1987 Volkswagen se la gioca alla grande: Keint si prepara ad arrampicarsi sul Pikes Peak con una Golf molto speciale, con un motore sull’asse anteriore, e uno in coda su quello posteriore. La base di partenza della Golf Bimotore Pikes Peak sono due quattro cilindri 1.8 16v della GTI. Entrambi sono arricchiti con turbo, un cambio a testa. La potenza finale è di 652 cavalli. La trasmissione integrale è molto raffinata: il pilota può decidere se utilizzare la trazione anteriore, la posteriore o le quattro ruote motrici. La macchina è molto competitiva e leggera grazie al peso contenuto (vengono utilizzati magnesio e alluminio). Kleint parte come un razzo e fino a metà percorso è primo. Poi, però, la macchina inizia a cedere e a poche centinaia di metri dal traguardo rompe una sospensione ed è costretto a fermarsi.

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SEAT IBIZA BIMOTORE (1986). Nel periodo, seconda metà degli anni ’80, nell’infuriare del Gruppo B e con tutte le Case impegnate a ‘spendere e spandere’ per non perdere il treno, anche la Seat più o meno ufficialmente ci… prova. Con una Ibiza bimotore. L’azienda spagnola, uscita dalla partnership con Fiat nel 1982, nell’84 presenta la Ronda (che produce la reazione legale del Lingotto) e nell’85 crea la divisione Seat Sport. Entrano in scena, a questo punto, i fratelli Seriva, due signori-nessuno che, senza budget ma tanta passione, si mettono in testa di creare un’Ibiza per i rally Gruppo B. La soluzione è tanto banale quanto obbligata. A un quattro cilindri System Porsche 1.5 in posizione anteriore ne viene aggiunto un secondo in coda. Tutto è raddoppiato e ruotato di 180 gradi: motore, trasmissione, sospensioni, cambio e parte di telaio. L’Ibiza bimotore ha, complessivamente, tre litri di cilindrata, quattro ruote motrici e 250 cv. Grazie all’utilizzo di banale (ma leggera) vetroresina il peso complessivo della macchina è di mille kg. I Seriva introducono la macchina a Seat Sport e Seat, che vuole correre nei Rally Gruppo B ma non può permettersi una macchina nuova, offre loro pieno supporto. Ma lo sviluppo è un disastro: non c’è modo di sincronizzare i due motori e l’armonizzazione delle trasmissioni, d’altro canto, è un enorme problema. Non ultima l’efficienza termodinamica, fonte di problemi. La verità, infine, è che l’Ibiza Bimotore non può nemmeno sfiorare la potenza di Lancia, Peugeot o Audi; (forse) può diventare competitiva per il Gruppo S., ma il destino distrugge ogni progetto e con la morte di Toivonen e Cresto arriva la fine del Gruppo B e Gruppo S. L’Ibiza con due motori corre per due anni in un campionato nazionale ma, sebbene lo sviluppo continuo la porti a 300 cv non è mai veramente competitiva.

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Un commento su “Bimotore. Le auto da corsa ‘raddoppiate’”
  • t5457925 ha scritto:

    be nulla da eccepire in quanto gia ho anticipato nei commenti mie gia elencati ma per la redazione vi siete dimenticati della alfa romeo alfa sud 4X4 BImotore e della Pikes Peake impossibile non citare delle vetture di Nobuhiro Tajima e delle sua vettura bimotore, Suzuki Cultus che monta due motori 1.6 turbo da 400 cv davanti e dietro in totale da 800 cv

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