Maserati, la genesi: dalla Tipo 26 alla A6 1500 GT
Per i fratelli Maserati, la meccanica è sempre stata una passione di famiglia. Carlo, il maggiore, l’aveva probabilmente ereditata da papà Rodolfo, macchinista delle ferrovie del Regno d’Italia nella seconda metà dell’Ottocento. Prima dell’automobile, infatti, ad affascinare le nuove generazioni di italiani è proprio il treno, che i bambini e i ragazzi più giovani vedono come un lungo e pesante serpente di metallo, un mostro di straordinaria potenza che corre veloce sulle sue grandi ruote e racchiude in sé una delle nuove frontiere del progresso.
UN MODELLO DA SEGUIRE. Per Carlo Maserati, un vulcano di idee i cui lampi di genio influenzeranno sin dall’infanzia i fratelli i minori, dalle locomotive ai motori il passo è breve. A dodici anni si costruisce un giocattolo a vapore, poi si dedica alle biciclette, che motorizza con un propulsore monocilindrico e porta in gara cullando i propri sogni di pilota da corsa. Nel suo incessante peregrinare da una fabbrica di automobili all’altra – nel corso della sua carriera lavora per Fiat, Isotta Fraschini e Automobili Junior/OTAV – trova anche il tempo di progettare un aeroplano ad ala bassa. Quando muore per una malattia polmonare, non ha ancora trent’anni: il mondo della tecnologia italiana perde sul più bello una delle sue menti più brillanti, mentre i Maserati, oltre che a un fratello, dicono addio a un faro, un riferimento, un perno attorno al quale in un certo senso avevano cominciato a far ruotare, oltre alle proprie ambizioni professionali, anche i propri progetti di vita. L’idea di costruire qualcosa di grande insieme viene raccolta da Alfieri, che insieme ai fratelli minori Ettore ed Ernesto nel 1914 fonda a Bologna la ‘Società Anonima Officine Alfieri Maserati’. È l’inizio di un’avventura destinata a scrivere pagine memorabili della storia dell’automobile.
NEL SEGNO DEL TRIDENTE. Inizialmente, costruire automobili con il proprio nome non rientra nei piani dei fratelli Maserati, che cominciano col riparare le macchine da corsa della Isotta Fraschini, la fabbrica milanese per la quale Alfieri era stato pilota e, in virtù di un carattere spigliato e di un portamento molto elegante, brillante uomo di pubbliche relazioni. Per i Maserati, tecnici sopraffini ma uomini schivi e riservati, la grande occasione si presenta nel 1925 quando, in seguito alla rinuncia alle corse da parte della Diatto, Alfieri decide di acquistare una decina di telai del modello 30 Sport. A rendere possibile quest’incrocio di destini, senza il quale probabilmente la Maserati che conosciamo oggi non sarebbe mai esistita, sono i capitali di un ricco gentleman driver, il marchese Diego de Sterlich, che spinto da un sentimento di profonda ammirazione per Alfieri Maserati decide di versare il denaro necessario per l’acquisto dei telai e dei pezzi di ricambio. Con la prima Maserati, che è di fatto un’evoluzione della Diatto GP 8C con compressore, prende anche forma il logo che di lì in avanti avrebbe ornato i bolidi bolognesi. A disegnarlo è l’unico dei fratelli Maserati estraneo al mondo dei motori, Mario, che di mestiere fa il pittore. S’ispira all’imponente statua in bronzo della Fontana del Nettuno a Bologna, in cui il dio marino si staglia impugnando nella mano destra il tridente tipico della mitologia greca e romana.
UN INIZIO DIFFICILE. Mentre i successi sui campi di gara internazionali accrescono la fama della Maserati nel mondo, un nuovo lutto sconvolge gli equilibri di una famiglia che si è sempre distinta per unità e affiatamento: nel 1932, anno in cui i bolidi del Tridente conquistano ben venti vittorie, muore Alfieri, che proprio come Carlo era stato un modello per i fratelli più giovani. La famiglia e gli operai si stringono nel ricordo di un pioniere dello sport automobilistico e di un grande tecnico, il cui esempio continuerà ad animare i reparti d’officina con la passione e la competenza di sempre. Le Maserati sono robuste e affidabili e, di anno in anno, davanti ai cancelli della fabbrica la fila dei clienti che vogliono assicurarsi una vettura col marchio del Tridente diventa sempre più lunga. Nonostante la popolarità e il successo commerciale dei propri modelli, però, i conti della Maserati scricchiolano: a tenere in piedi l’officina, che a cavallo tra gli Anni ’20 e ’30 dà del filo da torcere a realtà sportive consolidate come Alfa Romeo e Bugatti, saranno prima gli aiuti del Reale Automobile Club d’Italia e del marchese De Sterlich e, successivamente, l’intervento di un grande industriale modenese, Adolfo Orsi, che nel 1937 rileva l’intero pacchetto societario sollevando di fatto i fratelli Maserati da ogni incombenza finanziaria. Secondo gli accordi intercorsi con la nuova proprietà, i Maserati restano in azienda come consulenti per i successivi dieci anni, occupandosi delle auto da corsa e della fabbrica di candele, un centro nevralgico dell’attività di famiglia sin dalla fondazione.
UN SUCCESSO DA INCORNICIARE. Prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che imporrà lo stop della produzione di macchine da corsa, la casa del Tridente trova il tempo di mettere nella propria bacheca due trofei di grandissimo prestigio, vincendo per due volte, nel 1939 e nel 1940, la 500 Miglia di Indianapolis. Tutt’oggi la Maserati resta l’unico costruttore italiano ad aver conquistato la vittoria nel celebre catino dell’Indiana. Nel 1940, mentre l’Italia fascista dichiara guerra a Francia e Inghilterra, sui tavoli da disegno della casa del Tridente Ernesto Maserati e l’ingegner Alberto Massimino proseguono lo studio, cominciato quattro anni prima, di una granturismo basata sulla gloriosa monoposto 6C M. La sigla del progetto è A6, dove la A è un chiaro omaggio all’indimenticato Alfieri e 6 è il numero dei cilindri del motore.
NUOVI ORIZZONTI. Per ironia della sorte, il primo modello stradale del Tridente, al quale Ernesto aveva lavorato per dieci, lunghi anni, debutta al Salone di Ginevra del 1947, quand’ormai i fratelli Maserati hanno lasciato già da un anno l’azienda che porta il loro nome e fondato la OSCA per concentrarsi esclusivamente sulla realizzazione di macchine da corsa. Il primo prototipo, allestito negli Stabilimenti Farina, stupisce il mondo dell’auto con soluzioni a dir poco originali: i fari sono a scomparsa, azionati da un dispositivo meccanico, mentre il tettuccio, in plexiglass, è apribile. Stilemi che, per ragioni di costi, verranno abbandonati, ma che non scalfiranno di una virgola la purezza e l’eleganza del disegno originale. Venduta con il nome commerciale di 15oo Gran Turismo, la A6 è prodotta in pochissimi esemplari: tre nel 1947, cinque nel 1948, venticinque nel 1949 e ventotto nel 1950, per un totale di sessantuno unità. Una serie piccola, ma grande abbastanza da proiettare la Maserati nell’orbita delle granturismo ad alte prestazioni. Un mondo mai esplorato prima e nel quale la casa del Tridente saprà ritagliarsi un ruolo da protagonista in perfetto equilibrio tra eleganza e sportività.
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