Lancia Aurelia, la prima al mondo col V6
Sei posti comodi, motore V6, una carrozzeria portante dalle forme aerodinamiche e, possibilmente, un peso inferiore agli undici quintali. Questo, in sintesi, il cahier des charges che nel 1948 Gianni Lancia consegna ai propri tecnici per il progetto dell’Aurelia, il modello che, nel ruolo di ammiraglia della casa, si appresta a raccogliere la non facile eredità dell’Aprilia, un’automobile nata oltre dieci anni prima ma ancora straordinariamente moderna.
ALLE ORIGINI DI UN PROGETTO GENIALE. L’idea del motore a sei cilindri, in realtà, risale a qualche tempo prima. Più precisamente al 1943, quando in seguito all’intensificarsi dei bombardamenti alleati sulle città industriali del Nord Italia, la Lancia decide di trasferire la direzione tecnica negli uffici della filiale di Padova. In un periodo in cui il grosso delle attività ruota attorno alla produzione di veicoli militari, l’allora direttore tecnico della Casa torinese, Giuseppe Vaccarino, sottopone all’ingegner Francesco De Virgilio, che all’epoca presiedeva al servizio studi e brevetti, i disegni di un motore a V di 39 gradi. Il giovane progettista reggino, entrato in azienda nel febbraio del 1939 e messosi presto in luce per aver risolto gli annosi problemi della sospensione anteriore Lancia a colonna verticale indipendente, si rende conto quasi subito che il motore non è sufficientemente equilibrato e che, quindi, non può essere brevettato. Il progetto viene messo da parte, ma né a De Virgilio né a Vittorio Jano, approdato in Lancia nel 1938 come direttore del Reparto Esperienze dopo una brillante carriera in Fiat e Alfa Romeo, sfuggono il fascino e le potenzialità di quello schema così raffinato, prezioso retaggio degli studi sui motori aeronautici che i tecnici della casa torinese avevano portato avanti durante la Prima guerra mondiale.
UN CONCENTRATO D’INNOVAZIONI. Malgrado non possieda ancora l’esperienza e il piglio pratico di Jano, in virtù di una solida formazione universitaria e di un talento per la progettazione fuori dal comune De Virgilio riesce dove nessuno, nella storia della tecnica automobilistica, era mai riuscito prima. Il progettista calabrese scioglie finalmente il nodo dell’equilibratura del motore a V, mettendo sul tavolo due soluzioni che consentono di equilibrarne le forze alterne d’inerzia. Per il motore definitivo, deliberato soltanto nel 1949 dopo una lunga serie di test, viene scelto un angolo tra le bancate di 60 gradi. Una proposta che De Virgilio, in realtà, aveva già avanzato per il muletto dell’Aprilia V6, dove però per mancanza di spazio non era stato possibile spingersi oltre il valore di 40 gradi. Con gli Anni ’50 alle porte, il primo sei cilindri a V del mondo è un traguardo di portata eccezionale che la dice lunga sulla capacità d’innovazione della Lancia, ma non è l’unica novità tenuta a battesimo dall’Aurelia (di cui vi raccontiamo qui l’esperienza di guida). Un altro prodigio di ingegneria coperto da brevetto è il comando dell’albero di trasmissione tramite una catena doppia, a rulli, con tendicinghia idraulico. Inedito anche il collocamento al posteriore, in un unico blocco ancorato alla vettura, del gruppo cambio-differenziale-frizione: una configurazione che consente una miglior distribuzione dei pesi, liberando inoltre spazio davanti per un terzo comodo posto al centro, accanto al guidatore. Per ridurre le masse non sospese e, quindi, per migliorare la tenuta di strada, i freni sono montati a monte dei semiassi e non, come avviene di solito, sui mozzi delle ruote.
GIANNI LANCIA E LE CORSE. Presentata al Salone di Torino del 1950, l’Aurelia è la prima automobile nata sotto la gestione di Gianni Lancia. Quando riceve le chiavi dell’azienda dalla madre Adele Miglietti, che aveva iniziato a dirigere la fabbrica dopo l’improvvisa scomparsa del marito, nel febbraio del 1937, Gianni ha soltanto ventitré anni. Fresco di laurea in ingegneria, il giovane manager ha le idee chiarissime sul futuro. A differenza del padre, che nonostante fosse stato il pilota più veloce del suo tempo, una volta indossati i panni del costruttore si era sempre astenuto da un impegno in forma diretta nelle corse, Gianni decide di scommettere sul motorsport. Ed è proprio l’Aurelia, nella sua versione più sportiva, la B20 GT, ad accompagnare i primi passi della Lancia sui principali campi di gara internazionali. Al di là della reticenza personale di Vincenzo Lancia, nel Dna della Casa torinese i geni delle corse in realtà c’erano sempre stati. Nel 1928 la vittoria della Mille Miglia era sfuggita a una Lambda sul filo di lana, mentre negli anni successivi a balzare agli onori delle cronache sportive erano state l’Augusta e, ancor di più, l’Aprilia, una macchina praticamente imbattibile nella categoria Turismo al limite del litro e mezzo di cilindrata. Ma un conto era veder correre e vincere le Lancia nelle mani di piloti privati, un altro dar vita a una vera squadra corse: una novità di proporzioni cosmiche per una casa automobilistica che, in quasi mezzo secolo di storia, non si era di fatto mai affacciata al mondo delle competizioni in veste ufficiale.
UNA GT CHE CORRE VELOCE. Nel 1951, poche settimane dopo la presentazione al Salone di Torino, quattro B20 GT vengono schierate ai nastri di partenza della Mille Miglia. Per la Lancia è un battesimo da incorniciare, con la piazza d’onore a Giovanni Bracco e Umberto Maglioli, secondi soltanto alla ben più potente Ferrari di Gigi Villoresi e Pasquale Cassani. È l’inizio di un’avventura bruciante e disastrosa, che porterà la Lancia ai vertici dello sport automobilistico internazionale e, nel breve volgere di qualche anno, nel baratro di una crisi senza via d’uscita. Le affermazioni delle B20 Coupé, che tra il 1951 e il 1953 fanno man bassa di vittorie in giro per il mondo, spingono Gianni Lancia a intensificare gli sforzi nel programma sportivo. In un crescendo inarrestabile di euforia e creatività progettuale, le velocissime D-Competizione – i cui successi culminano con la vittoria di Alberto Ascari e della sua D24 alla Mille Miglia del 1954 – spalancano alla Lancia le porte della Formula 1. Spese da capogiro, una manciata di gran premi e, proprio nel momento in cui la monoposto D50 stava cominciando a mostrare di che pasta era fatta, l’improvvisa scomparsa del pilota di punta del team, Alberto Ascari, che trova la morte durante un test a Monza con una Ferrari. Per Gianni Lancia, sconvolto dalla perdita del ‘suo’ campione e rimasto intrappolato nella lucida follia di una fabbrica che nel frattempo, sfidando le ormai imprescindibili regole del mercato di massa, continuava a costruire macchine straordinarie senza badare a spese, è la fine di un sogno bello e impossibile.
ETERNA BELLEZZA. In quest’ultimo ballo pieno di contraddizioni e scandito da una spaventosa altalena di emozioni tra euforia, dolore e frustrazione, dalla piattaforma dell’Aurelia nasce il modello che rappresenta forse il punto più alto della storica collaborazione tra la Lancia e la Pininfarina. La B24, un capolavoro senza tempo che con la sua bellezza saprà ispirare intere generazioni di spider all’italiana, diventa un’ambasciatrice di italianità nel mondo. Partendo dall’architettura dell’Aurelia, nei laboratori degli Stabilimenti Farina, tra one-off, piccole e grandi serie prende forma anche la coupé B50, un’originale fuoriserie basata sull’Aurelia GT cui va il merito di aver introdotto la griglia anteriore di forma esagonale che, con le dovute modifiche, caratterizzerà le Lancia della seconda metà degli anni Settanta. Dalla Florida, libera interpretazione della versione B56 offerta, ancora una volta, dalla celebre carrozzeria torinese, nascerà invece la Flaminia, destinata a rimanere l’ammiraglia della Casa fino alla fine degli anni Sessanta.