La prima super berlina: la Mark 2 fu un’intuizione fascinosa
L’M5 DEGLI ANNI 60 – Se uno dovesse pensare a un’auto bella e dannata, la prima che gli verrebbe in mente non è un’elegante berlina inglese a quattro porte, magari con i cerchi a raggi. Sarebbe più facile immaginarsi una Little Bastard, la Porsche che rese immortale James Dean, o la Mustang incarognita di Bullitt. E sbaglierebbe. Perché nel 1959 non c’erano ancora né BMW M5 né le i razzi tutti muscoli firmati AMG. Sessant’anni fa, se volevi una super berlina, c’era solo la Jaguar Mark 2 (per gli amici Mk2). Modello iconico della casa del giaguaro, è passato alla storia per essere il restyling più riuscito di sempre. E non solo esteticamente. Certo, la rivisitazione di linee, proporzioni e fanali, saltano subito agli occhi, ma quello che non si vede è che questa seconda serie della 3.4 che l’ha preceduta, ti permetteva di sentirti un campione senza rischiare l’osso del collo com’era successo all’ex pilota di Formula 1 Mike Hawthorn. Che sulla Mk1 ci aveva lasciato le penne.
BELLA TENEBROSA – Stranamente, quella che avrebbe potuto essere una partenza in salita per le vendite della neonata Jaguar Mk2, in realtà ammantò la nuova berlina di un fascino sinistro. Quasi diabolico. Trasformandola in una rappresentazione automobilistica del Dottor Jekyll e Mister Hyde: berlina di lusso e sportiva di razza. Disponibile in tre motorizzazioni, tutte sei cilindri in linea, fu prodotta dal 1959 al ’67 (1969, se si considera che i modelli 240 e 340 non erano altro che Mk2 a prezzi scontati). Il propulsore più piccolo, il 2400, era talmente fermo che la rivista The Autocar, visto che Jaguar si rifiutava di dargliene una in prova, dovette trovarla di seconda mano per poterla testare su strada e constatare che non arrivava neanche a 160 km/h. Gli altri due, il 3.4 e il 3.8 (quest’ultimo pensato soprattutto per il mercato americano), superavano i 200 cavalli e grazie alle modifiche a telaio e sospensioni, oltre che ai freni a disco, a ogni sgasata trasformavano la generosa berlina in uno scattante felino.
GUARDIE E LADRI – La Mk2 fu un incredibile successo per Jaguar. Non a caso la circonvallazione appena fuori Londra, che era popolata dalla ricca borghesia, fu presto soprannominata ‘Jag Belt’ per quante berline si potevano contare in queste zone. La mossa vincente fu anche quella di tenere molto basso il prezzo della versione base. Così facendo, però, i margini si assottigliavano e le pecche del modello (ruggine facile e assemblaggio andante) facevano quindi parte dell’allestimento di serie. La sua diffusione, oltre che la cattiveria delle versioni tremila, la rese ben presto l’auto preferita dai rapinatori di inglesi. Veloce, stabile, popolare quanto bastava per non dare nell’occhio, in poco tempo divenne l’auto più temuta dell’isola. Anche da parte dei cattivi. Già perché ben presto entrò in forza anche presso la polizia britannica. Un poliziotto che la guidava all’epoca si ricorda ancora che il potere deterrente dell’auto era tale che negli inseguimenti, appena i malviventi la vedevano comparire nello specchietto retrovisore, mettevano la freccia e accostavano.
UN’AUTO PER VERI UOMINI – Quando uscì, i giornalisti britannici erano entusiasti. Finalmente Jaguar aveva prodotto un’auto maschia. Altro che la coetanea E-Type, molto spesso liquidata come troppo femminile. Insomma, 60 anni possono cambiare moltissimo la percezione di un’auto. Del resto gli anni Sessanta erano quelli delle berline: lussuose, economiche… e ovviamente anche sportive. Così, quella che oggi sembra la macchina giusta per le foto dei matrimoni, tutta classe e eleganza, in realtà era un mezzo sanguinario e affamato di velocità. Perfetto per andare a teatro la sera e in pista la domenica. Prima carrozzeria Jaguar in serie senza un telaio sotto, in America la Mk2 è stata votata ‘Best Imported Car’ per diversi anni consecutivi. La sostanziale differenza dalla prima serie era la carreggiata posteriore maggiorata e un pelo di peso in più sull’avantreno. Le 3.4 e 3.8 avevano un rumore di scarico che i sudditi di Sua Maestà definirono ‘basso profundo’ e i 220 cavalli della versione più potente le permettevano di rompere il muro dei 200 all’ora. Quattro marce con overdrive (optional) o un automatico a tre velocità. La 3.8 aveva pure un differenziale autobloccante Powr-Lok.